Dopo l’uscita di “Che Sarà”, Achille Lauro va nelle scuole a raccontare la bellezza del mutamento
“Crescendo ognuno di noi deve compiere delle scelte, che ovviamente fanno paura. Poi diventiamo adulti, senza ancora avere una risposta. Ma non esiste un tempo per decidere il nostro futuro, come non c’è una sola strada da percorrere. Ci sei tu. Ieri, oggi e domani”.
Così presenta il suo nuovo progetto uno degli artisti più chiacchierati del panorama musicale italiano. In occasione dell’uscita del suo nuovo singolo Che sarà, ritorno in patria dopo la sua parentesi all’Eurovision 2022 in rappresentanza di San Marino, Achille Lauro si rivolge direttamente ai ragazzi e alle ragazze delle superiori, in un ambiente che a primo impatto sembra distante anni luce dal controverso personaggio che ha rotto gli schemi nazionalpopolari.
L’artista romano, in collaborazione con H-FARM (Piattaforma di innovazione, nonché campus tecnologico con sede a Treviso) approda negli istituti italiani per parlare di futuro, di scelte e della sua scelta, quella di dedicare la vita alla musica e più in generale fare dell’arte il proprio riscatto. D’altronde, se dovessimo descrivere il percorso di Achille Lauro con un unico aggettivo, potremmo senza ombra di dubbio considerarlo futuristico: sin dagli esordi, infatti, il rapper ha siglato ogni suo lavoro con uno sguardo lungimirante, verso sonorità dai più ancora inesplorate e proponendo disco dopo disco un Lauro sempre diverso e nuovo.
A causa di questa accentuatissima poliedricità, Achille Lauro risulta essere uno degli artisti meno inquadrabili della scena musicale italiana e perciò rumorosamente criticato e stigmatizzato. La sua carriera ne è la cartina tornasole: Lauro de Marinis, classe 1990, iniziò a farsi conoscere nell’underground romano più “cupo” pubblicando nel 2012 i due mixtape Barabba e Harvard, primi prodotti dopo essere entrato nel giro di Quarto blocco, realtà di cui faceva parte il fratello Fet e che sancisce il suo periodo di “vera mala romana”, come egli stesso ha definito.
Il giovane rapper riuscì a farsi riconoscere per la sua schiettezza tagliente, quella caratteristica che solo la vita (e la sua è stata davvero bastarda quanto descrive nei suoi pezzi) ti può insegnare. Brani come Giovani crimini sono stati definiti delle street hit incredibili, galeotte, di fatto, del suo decollo artistico avvenuto grazie al supporto di diversi esponenti di spicco come Noyz Narcos e l’incontro con Marracash e Shablo che lo incorporarono in una neonata Roccia Music. Nel 2014 arriva l’esordio con Achille Idol Immortale, street rap grezzo e all’avanguardia allo stesso tempo poiché, nonostante la partecipazione di artisti consacrati della scena urban come Gemitaiz e lo stesso Noyz, Lauro inizia già a apporre la propria firma, uscendo dalle sonorità canoniche dell’hip-hop chiudendo ogni traccia con una rivisitazione tutta personale di versetti evangelici. È l’inizio di un percorso scandito da frequenti mute, cambi di pelle, di stile, di abito; un percorso che costituirà l’aura di imprevedibilità che, piaccia o meno, rende riconoscibile il cantautore romano da quasi 10 anni.
Nel 2015 a conferma di questo suo talento mutaforma, pubblica Dio c’è, l’album più sperimentale dell’anno, nel quale l’artista, fonde elementi di ambient, musica elettronica e trap forgiando pezzi memorabili come Ora lo so, Bonnie e Clyde e la Bella e la Bestia. Questi ultimi due album gli permisero di ampliare notevolmente il bacino d’utenza ed incontrare un pubblico meno devoto al hip-hop “nudo e crudo”; quello stesso pubblico che lo supporterà entusiasta nella fondazione della sua etichetta indipendente e che, di fatto, costituisce tuttora una solida fanbase. Intanto il suo lavoro di ricerca musicale non segna alcuna battuta d’arresto: con Boss Doms, quel perfetto partner in crime con cui ha letteralmente “scandalizzato” gli italiani sul palco di Sanremo, Achille Lauro ha più volte sostenuto di aver creato un genere nuovo, la “samba trap”, simile alla trap ma con degli elementi sudamericani e più glamour, genere che caratterizza, non senza altrettante contaminazioni, i tre album precedenti alla sua prima partecipazione alla kermesse, a partire da Ragazzi madre (2016), album dai più considerato il suo miglior lavoro, dove per concept dà voce alle storie di altri, ne prende le vesti, permettendo a tanti sé del passato di trovare parole di conforto e a chi non riusciva a vederlo, un bagliore di speranza in un futuro migliore.
In un’intervista per la presentazione del suddetto disco, un Lauro sfuggente e tenebroso affermava che “l’abitino di marca non è importante e nemmeno la mia faccia, per fare qualcosa di figo”; Io guardando oggi l’intervista mi sono chiesta: chissà cosa penserebbe l’Achille Lauro di ora riascoltandosi? Una risposta è arrivata di recente, ai microfoni di Radio Deejay: “il cambiamento è fondamentale – afferma Lauro – è proprio quello che ti salvaguarda, per non spegnersi. […] Solo cambiando si trova la propria identità: ognuno di noi ogni giorno ha tante personalità, tra queste ci sentiamo soli, incerti e non vediamo il futuro”.
Quindi parlare di snaturazione, o di incoerenza, come in molti hanno fatto criticando il percorso dell’artista, non troverebbe alcun fondamento logico. Più corretto, al contrario, sarebbe parlare di trasformazione, di inarrestabile movimento, di necessità di continuare a sorprendersi e sorprendere levandosi di dosso le rigide etichette spesso machiste e prepotenti del rap “vecchia scuola”, come Lauro ha fatto con Pour l’amour e in modo ancora più plateale con le sue varie partecipazioni a Sanremo. È, infatti, sul palco dell’Ariston che ha potuto esprimere al massimo la sua multiformità: si presenta il primo anno ad un pubblico abituato (e forse ormai annichilito) alla musica leggera italiana con il dissacrante punk-rock di Rolls Royce, spiazzando in primis i suoi fan e risvegliando di soprassalto chi assisteva per la prima volta ad una sua performance.
Replica lo scalpore nel 2019, con Me ne frego e lo fa curando ad hoc la sua immagine seguito da nientemeno che Alessandro Michele direttore creativo di Gucci (alla faccia dell’abitino citato dal Lauro del 2016). Il resto è Storia. Una storia che ha acceso forti dibattiti, ha scatenato le più inutili shitstorm, ma che di per sé non ha mai nemmeno rallentato l’eccentricità e l’ambizione del cantante romano. I lavori prodotti in occasione e/o successivamente Sanremo (1969, 1990, 1969-Rebirth, 1920) suggellano quella che oramai è definibile come la cifra stilistica del cantautore romano, tratto distintivo di cui lo stesso Lauro è fortemente consapevole e sfoggia con orgoglio ogni qualvolta gli si presenta l’occasione. Durante la 71ª edizione del Festival sanremese, in quanto ospite fisso, si esibisce portando sul palco 5 sè differenti: il glam rock del suo inedito Solo noi (tratto dall’album Lauro, 2021) il rock and roll con Bam Bam Twist, il pop sulle note di Penelope, il punk rock di Me ne frego e Rolls Royce, e infine la musica classica con C’est la vie.
Al netto di tutto ciò che già è stato ricordato finora, e tolta qualsiasi preferenza/non preferenza dettata dal gusto personale, non si può non affermare che Achille Lauro sia una delle personalità più attive, creative ed interessanti del mercato musicale degli ultimi 10 anni; e questa affermazione trova conferma se si contano anche tutti i progetti paralleli a cui si è dedicato: libri, partecipazioni a produzioni cinematografiche e televisive, esperienze nel metaverso, collaborazioni con il mondo della moda e addirittura esposizioni artistiche.
Tra una sperimentazione e l’altra, ormai lontano dall’etichetta di rapper di strada, Achille Lauro non smette di guardare al futuro potendo osservare la sua evoluzione artistica, tanto musicale quanto visiva. Si tratta di un inarrestabile incubatore di idee; e di questo non possono che dargli atto anche i più accaniti puristi del rap.
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