“Importante”, il nuovo singolo di Marracash incluso nella deluxe di “Noi, Loro, Gli Altri” (pubblicata il 9 dicembre 2022) è forse il brano adatto ad affrontare un certo tipo di questioni. Quando Marra pubblica qualcosa, catalizza veramente l’attenzione di tantissimi e noi, qui, ne approfittiamo.
Allora, diciamolo subito, perché poi i fanatici e le fanatiche di Marra non continueranno dopo aver scorso con l’occhio le parole in grassetto: “Importante”, in redazione, è generalmente piaciuta, l’abbiamo ritenuta una canzone, musicalmente parlando, molto interessante. Il brano in questione ha avuto ottimi riscontri sia dalla critica che dagli artisti stessi, Marz e Zef hanno campionato l’intramontabile brano di Mina “L’importante è finire” e hanno impiegato il sample in una forma nuova, rigenerata, Marracash invece, forte anche della sua impronta stilistica, è riuscito a rendere molto bene il suono della pioggia: le allitterazioni delle l e delle r (liquide) nella strofa rievocano lo scorrere dell’acqua, i suoni duri accentati e le dentali del ritornello ricordano vagamente le gocce che si schiantano sul vetro.
Il brano è smaccatamente pop ma non per questo deve essere screditato o denigrato e soprattutto, calandosi del tutto nel solco della tradizione tramite un campione rilevante, acquisisce un’aura tutta sua che lo fa brillare un po’ di storicità. A fare strano, infatti, è che una canzone simile l’abbia fatta Marracash.
Le domande che però sorgono finito l’ascolto del brano sono: perché un rapper finisce, quasi sempre, per cantare? E perché pure Marracash?
Un brevissimo time-lapse. Il rap in Italia è diventato pop negli anni 10 con i Club Dogo, Emis Killa, Fedez, con il Fibra di “Controcultura” ed era un tipo di rap che, per sostentarsi e sostenersi, ha dovuto inglobare il canticchiato. Per un po’ questo stile di musica ha retto fino a che non ha stancato. La scena 2016 (Sfera Ebbasta, Ghali, Izi, Rkomi, Tedua, Dark Polo Gang ecc…) ha rotto gli schemi e ha portato in tendenza un tipo di musica che, nonostante tutte le sfumature e i vari sottogeneri, aveva in seno una componente fortemente rap. Dal 2016 ora sono passati anni, quelle sonorità lì sono state addomesticate dalle major (con tempi molto più veloci, sta succedendo anche con la drill) e siamo ritornati, tendenzialmente, a canticchiare, recludendo il rap alle strofe o addirittura mischiandolo direttamente a questo. In Italia, basta guardare un po’ indietro, si è sempre cantato, sembra proprio essere costitutivo della nostra cultura musicale, tanto da non riuscire a smettere nemmeno quando si fa rap e “Botox” di Night Skinny lo esemplifica.
Anche all’estero il rap ha subito l’influenza del pop diventando il nuovo pop; ogni genere musicale, quando nasce come controcultura e viene abbracciato dai più, diventa pop (un esempio a noi caro, il punk: da musica contro sistema fino a creare un genere definito “pop punk”). La differenza sostanziale tra l’Italia e altri stati è che rapper simbolo come Jay Z, Lil Wayne o Kanye West non so quanta necessità di cantare avessero per abbracciare un ampio pubblico. Stati come la Francia o gli USA, hanno una cultura Hip Hop così radicata da riuscire a flettere parallelamente il mercato ai dettami culturali, diverso invece per la Penisola, che questa cultura così profonda non ce l’ha. I rapper-simbolo, o generazionali, negli stati con forte cultura Hip Hop, possono piegare un mercato intero mandando in tendenza brani di sole strofe senza ritornelli, in Italia, invece, i rapper generazionali, se vogliono parlare a tanti, devono ricorrere alla propria matrice culturale che investe, inevitabilmente, il canto.
È fattuale: pochi sono i big che, nonostante tutti i compromessi, negli ultimi anni hanno lanciato nel mercato italiano prodotti quasi interamente rap, pensiamo a Gué (con “Fast Life 4“), Emis Killa (con “Keta Music 3”) e Noyz Narcos (con “Virus”). I tre appena nominati, nel corso della loro carriera, hit radiofoniche a parte e momenti più commerciali (Noyz escluso, non si è mai rivolto troppo al pop), hanno avuto il coraggio di continuare la pubblicazione fidelizzando, in maniera sempre più robusta, i loro ascoltatori, anche facendo marcia indietro (come Emis Killa). Per quanto i loro album in major potessero strizzare l’occhio all’industria, questi rapper hanno sempre lasciato nei propri album diversi brani fortemente rap che, seppur poco redditizi in termini di streaming, hanno tenuto sempre in vita quella fetta di fan veramente accanita. Sono questi poi gli ascoltatori che permettono la certificazione dei prodotti o dei singoli più Hip Hop.
Per Marracash il discorso è un po’ diverso; il rapper di Barona ha pubblicato più sporadicamente rispetto ai colleghi nominati, uno zoccolo duro di fan che è cresciuto aspettando i suoi silenzi c’è sempre stato e le tendenze ammiccanti al pop comparivano già in “Fino A Qui Tutto Bene” (nonostante abbia fatto suonare HH Giusy Ferreri), riaffioravano vagamente in “Status” e si sono confermate già in “Persona” e “Noi, Loro, Gli Altri” con tanto di sua ammissione (“Lo so sono pop ma non fare lo scemo”, “Loro”). Il king ha sempre messo nei suoi album brani strettamente rap, ma nei suoi ultimi progetti ha vertiginosamente diminuito la quantità questi. Risulta peculiare osservare come Marra abbia istruito chi lo ascolta a considerarlo realmente il migliore (“Ho detto King del Rap, nessuno ha detto “bhe”?!), il pubblico infatti ha mediamente gradito i suoi lavori e a partire da “Persona” i suoi fan sono raddoppiati. Forse è proprio per la maggiore fruibilità dell’album che, assecondando in diversi tratti l’istinto del canticchiare, ha permesso a molti di avvicinarsi ad una figura così tanto carismatica e tanto totemica per il rap italiano. Ascoltare Marracash fino al 2015 poteva restare “più ostico” perché rappava e basta, ora invece chiunque può avventurarsi nella sua discografia. Non è un caso che ai concerti, quando Marra porta i suoi vecchi brani, tolti i più iconici, il pubblico fatica a stare dietro al rapper.
Fabio Rizzo da Barona, più dei colleghi elencati prima, ha ampliato, album dopo album, il suo raggio d’azione comunicativo. Va aggiunta una postilla fondamentale però: “Status” e “Persona” sono stati pubblicati in due ere musicali differenti, Spotify nel 2015 non aveva la rilevanza attuale, le certificazioni non fioccavano come ora e con l’album del 2019, dopo tanta attesa, doveva giustamente raccogliere ciò che aveva seminato prima. Insomma, se si vuole allargare così tanto la forbice di pubblico in maniera ottimale, bisogna quasi arrivare, per necessità comunicativa, a fare un certo tipo di brani “più cantati”.
Non va trascurato che Marracash ha più di quarant’anni, che è cresciuto con un altro tipo di musica rispetto a noi e che, vista anche l’età, possa sentire il bisogno di incontrarsi spiritualmente anche con generazioni più adulte rispetto a quella più giovanile che lo segue, esclusi gli affezionati degli esordi che sono cresciuti con lui. Che ci sia, da parte sua, anche un tentativo di far incontrare alla precedente generazione il rap tentando la realizzazione di brani con campioni storici proprio per saldare due mondi generazionali separati, ma che in lui convivono?
Di conseguenza però, non è così strano chiedersi: perché gli altri rapper per aver fatto brani pop sono stati processati, torturati e quasi misconosciuti mentre Marra no?
Marracash, dopo “Status”, complici le grandi testate giornalistiche, i primi servizi di Rolling Stones sul rap e quanto fatto prima per tutto il movimento Hip Hop italiano, si è conquistato – scusate la ripetizione – uno status granitico, saldo e circondato da una barriera rinforzata dai successi certificati, dalla sua scrittura autoriale e dal bidirezionale accordo fan-artista in cui il rapper si professa il migliore e il pubblico, oltra ad accettarlo, lo fa ascendere a portavoce delle tematiche collettive. Quanto detto, e sicuramente altro tralasciato, ha permesso di far radicare Marracash nell’irrazionale sentimento generale del pubblico che lo ritiene intoccabile e che, tramite un gioco di riflessi, fa arrivare tale idea anche alla stampa.
Rari sono stati gli spazi musicali che, all’infuori della goliardia, hanno avuto l’ardita intraprendenza di criticare costruttivamente Marracash per alcune scelte musicali o per alcune barre che, se fossero state fatte da altri artisti del settore sarebbero stati aspramente criticate. Non ponendo mai in essere all’artista, negli appositi luoghi, quesiti relativi a certi argomenti, si lascia passare l’idea che il rapper di Barona abbia dei privilegi in più rispetto ad altri, cosa che ad altri pionieri del genere, ad esempio, non è stata mai riconosciuta.
Sarebbe sicuramente gradito se il giornalismo e l’opinionismo del rap italiano, piuttosto che osannare e giustificare ogni mossa, fossero in grado di far nascere domande sia agli artisti che al pubblico; ci sarebbe di certo un ambiente più stimolante, quantomeno più cosciente tanto per chi produce quanto per chi ascolta, ma questo è un altro discorso.
Una risposta e un’interpretazione unica non esistono, riteniamo però opportuno, nonostante il grande apprezzamento da parte della redazione del rapper e dei suoi due ultimi lavori, chiedersi che tipo di strada musicale imboccherà Marracash, se una parte del suo zoccolo duro rap lascerà spazio ai nuovi innamorati della canzone tendente al cantautorato, o se le due anime artistiche riusciranno a coesistere anche nei fan.
Capita, infatti, di dimenticarsi che l’identità, anche quella musicale, non è una struttura rocciosa, ma un fluido in continuo mutamento e troppo spesso, a non saper accogliere e accettare i cambiamenti siamo proprio noi che li sottolineiamo.
Nessun commento!