Nelle scorse “Fedez Untold” si è associata con molta naturalezza la figura di Federico Lucia a quella del simbionte, termine comunemente associato al personaggio di Venom dell’universo Marvel e che, in maniera semplice e diretta, può essere definito un organismo che vive necessariamente un rapporto, non necessariamente di reciproco vantaggio, con un altro organismo per continuare a sostentarsi.
Ora, senza reiterare troppo questo concetto, la figura di Fedez è facilmente associabile a un’entità del genere: ha sempre fondato i suoi più grandi successi lavorativi e non grazie all’unione con altri, dall’impero con la Ferragni a San Siro con J-Ax, passando per Muschio Selvaggio con Luis Sal alle varie iniziative e collaborazioni con Fabio Rovazzi, ma per ora fermiamoci qui.
Sembra che la natura di Fedez sia quella di prendere il meglio da una situazione, assorbirla fino all’esaurimento per poi gettarla via, e questo nei rapporti umani equivale a una cessazione (spesso molto rumorosa). A volte torna la pace, altri rapporti rimangono segnati in maniera indelebile come un tatuaggio.
Sembra di descrivere un mostro, anche se non si parla di Venom: un personaggio calcolatore che appare e scompare a suo piacimento che riduce all’osso i frutti del mondo che lo circonda; proprio in tal senso mi viene da pensare più a Turles, il personaggio di Dragonball Z che, grazie all’albero della vita, assorbiva il potere dalla terra fino a distruggerla. Tutti paragoni un po’ eccessivi, forse però calzanti entrambi, ma questo mi piace di più. Questione di bagaglio personale.
Fedez, però, non è solo questo. Non è mai stato solo un villain, la realtà è che a molti ha fatto comodo che lo sembrasse. Sembra anche essere consapevole che c’è una differenza tra come appare e com’è realmente, ma si sa che è solo la punta dell’Iceberg a mostrarsi.
Mentre tutti vedono un imprenditore calcolatore (che in certi ambiti è giusto essere), non è che questa gestione dei rapporti ha fatto più male che bene a Fedez? Lui stesso in “Paranoia Airlines” esplicita questo contrasto tra ciò che appare e ciò che, dal suo punto di vista, è la realtà:
Il percorso che porta Fedez dal sembrare all’essere, sempre secondo un cambiamento di percezione e valutazione che può essere errato, è stato graduale e parte da lontano. Nel periodo di “Paranoia Airlines” qualcosa si è mosso, ma se da un lato come idea musicale Fedez cercava di essere, sul piano dell’apparire ha ricevuto molte polemiche per la campagna promozionale ideata.
Infatti, l’obiettivo di Fedez in quell’occasione non era tanto debuttare primo su Spotify, bensì vendere più copie fisiche possibili. Così, a pochi giorni prima dell’uscita, ha svelato che chiunque avrebbe acquistato il disco agli instore avrebbe avuto diritto ad un pezzo della sua “capsule collection”, la linea di vestiti e accessori ideata e disegnata da Federico e sua (al tempo) moglie Chiara, un binomio di successo il loro, ma ci torneremo a breve.
Al netto delle polemiche, con “Paranoia Airlines” l’artista milanese sembra iniziare ad anteporre il proprio piacere al resto: “dopo tanti anni di carriera nel mondo della discografia, sono riuscito a guadagnarmi la libertà di fare un mio disco senza badare alle logiche di mercato”. Il disco, infatti, presenta una componente punk che richiama il suo background che non ha mai nascosto (i Blink-182 sono il suo gruppo preferito). Questa componente rende il disco più particolare di un canonico prodotto di Fedez, più umano in un certo senso, sicuramente più di “Comunisti Col Rolex” o “Disumano”.
Questa percezione può risultare impopolare in quanto le parole “Fedez” e “canonico” sembrano essere propedeutiche l’una per l’altra: è impossibile che Fedez non pensi al mercato perché Fedez è il mercato stesso, CEO del raggiramento mediatico e dell’utilizzo del marketing per strumentalizzare qualunque situazione a suo piacimento.
Il suo abuso delle tecniche di marketing, termine con cui intenderemo ogni mossa studiata per generare profitti e consensi da parte sua, hanno reso il terreno su cui passeggia da sempre poco fertile per elogi alle sue azioni, sempre circondate da un’aura di complottismo e dubbi che in molti continuano a vedere tutt’ora dopo la separazione con la Ferragni e dopo la svolta Phonk con Taxi B. In molti, infatti, vedono nel tentativo di uscire dal canonico una mossa studiata, mentre altrettanti vedono il tentativo come un ritorno del vero Fedez, oscurato dalla presenza ingombrante della moglie.
Il rapporto con Chiara Ferragni, la madre dei suoi due figli, non è per nulla secondario per raccontare l’uomo-Federico. Ritengo sia altrettanto normale che due personalità così forti abbiano finito con lo scontrarsi. Chiara è una multinazionale e una star mondiale; Fedez è un’icona italiana, artista ma anche imprenditore. Insomma, in quanto a ego devono averlo entrambi molto pronunciato. Fedez dal canto suo è sempre stato esuberante, molto teen nelle situazioni e non uno che si tira indietro dalle polemiche; Chiara, invece, compete ad altri livelli.
Un rapporto dolce e pieno d’amore, all’apparenza, ma complicato e difficile da gestire forse, nella realtà. Ancora questo dualismo. Sembra sia una prerogativa di Fedez, ma in realtà sono cose che viviamo tutti noi. Si dice che il pandoro-gate sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Magari non come per l’Arciduca Francesco Ferdinando, ma ha fatto scoppiare una guerra mediatica, forse anche una tra i due.
Dalla separazione, Fedez sembra essere un altro. Dalla musica alla compagnia, c’è una rottura con il passato. Ma come ho accennato prima, forse è sempre stato così in realtà.
Fedez è considerato un calcolatore e un personaggio che va oltre la musica che produce. Ogni mossa viene messa in dubbio, come se il marketing fosse vita per Fedez o, perché no, la vita di Fedez fosse solo marketing. Nell’imprenditoria chapeau, nessuno avrebbe da ridire, ma quando si parla di musica si pensa all’arte e a quanto essa debba essere nuda e pura come mamma l’ha fatta.
Ora, non voglio dire che una visione sia giusta e l’altra no, ma non ammettere che il marketing e la musica non siano due rette parallele che non si incontrano ma che, anzi, convergono molto spesso, anche di più rispetto a pochi anni fa, è quanto meno opinabile. Ripensiamo all’intervista di Fedez su Esse: accusato di essere tanto marketing e poco arrosto, lui una risposta con un fondamento di base la dà.
“Credo fortemente che la musica e il marketing siano due cose che stanno bene insieme. C’è la narrazione di Fedez che fa tanto marketing e poca musica in maniera totalmente sbilanciata quando, secondo me, le due cose vanno di pari passo. […] Questa cosa di dire che musica e marketing sono due cose separate e che una è un disvalore per l’altra non mi appartiene, in realtà è tutto l’opposto. Andy Warhol e Salvador Dalì, ma anche l’arte contemporanea, la transavanguardia, il post-modernismo sono movimenti artistici che nascono da circuiti elitari. L’arte moderna si fonda sul ‘market’ stesso, sul mercato, come oggi. Warhol e Dalì sono artisti che hanno segnato l’arte contemporanea e che, parallelamente, facevano pubblicità per la lotteria, la cioccolata, aziende di trasporti aerei, e oggi sarebbero artisti che farebbero adv su instagram molto probabimente. Questa cosa non intaccherebbe minimamente il valore della loro arte, perché fa parte della loro arte. Quando mi ritrovo a fare un disco per me è l’occasione di fare del marketing e fa parte della performance stessa.”
Fedez in “Fedez racconta Disumano” a teatro (2022)
L’intervista era in occasione dell’uscita di “Disumano”, ultimo album in studio di Fedez, il quale, come la maggior parte della sua musica, non è rimasto nel tempo. Il concetto di “durare nel tempo” non è mai stato così centrale nella valutazione per giudicare un album valido o meno, ma a Fedez questo non interessa assolutamente (come ripetuto nella stessa intervista).
La musica di Fedez non ha bisogno di durare non solo perché non interessa all’autore, ma soprattutto perché è maledettamente figlia del suo tempo, così come il marketing pervasivo, così come Fedez stesso: icona social prima che discografica, dall’impero personale all’impero Ferragnez in coppia con Chiara Ferragni, Federico Lucia è ormai vittima e carnefice del suo operato, ogni mossa viene privata di naturalezza e l’anima dell’arte, quella nuda e pura, sembra essere l’ultima caratteristica che gli viene affibbiata.
Spesso si ragiona a simpatia e, come già raccontato, le diatribe con vari personaggi hanno reso Fedez una figura scomoda e antipatica, una bandiera che sventola dove tira il vento. Artista, calcolatore, imprenditore, disumano: in pochi pensano alla semplice fallibilità delle idee, delle mosse e delle opinioni di una figura così abile a esercitare una forza centripeta nei suoi confronti.
Ma Fedez, nell’opinione di chi scrive, è meno calcolatore di quanto si voglia far credere e, al netto dei vari sbagli interpersonali, il percorso musicale è solo uno spicchio di tutto il suo mondo ma è anche il meno attaccabile, perché non sa più in che lingua dircelo: a Fedez non interessa giocare nel nostro campionato, perché l’ha già vinto molti anni fa.
Oggi Federico Lucia è nella posizione di fare quello che vuole, di rendere labile il confine tra marketing e autenticità, di realizzare una redemption arc che abbiamo concesso veramente a chiunque, quindi perché non a lui?
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