È credo diffuso in redazione, come abbiamo visto in altri nostri articoli – in “Come non far scadere la musica” e in “Perché tendiamo a rivalutare le canzoni di Sanremo?” – che nell’ascolto della musica, qualsiasi essa sia, come ogni cosa, la musica richiede tecniche per essere utilizzata. Serve non farla scadere, serve dedicarle quel che si potrebbe chiamare un ascolto forzato. Ma in realtà lo sforzo di cui si parla, è lo stesso che si prova in una routine di fitness: si tratta di una ripetitività, che serve a far funzionare al meglio il macchinario che ci troviamo davanti.
Se non ci poniamo nella corretta postura il macchinario, per quanto potente ci logorerà unicamente i legamenti, e non migliorerà il nostro corpo. Per l’ascolto si verifica lo stesso fenomeno, non si può entrare nell’atmosfera di un album, di un pezzo, attraverso qualche ascolto superficiale, ma soltanto facendo vivere la musica. Cioè stappandola e facendola respirare come se fosse un buon vino; se la musica non viene fatta respirare, alle nostre orecchie sfuggiranno i particolari e i dettagli che la distinguono e definiscono.
Il Throwback è la rubrica per la decantazione e lo studio di alcuni CD, che per un motivo o per un altro, sono stati piccoli centri di riferimento, piccoli centri di significato. Una rubrica che è un invito a dare un nuovo ascolto e una nuova vita, ad album che potrebbero continuare a sorprendere il proprio ascoltatore.
La ripetizione di questa azione di ascolto, sia da soli che condiviso, si consolida in una ritualità quotidiana il cui fine è quello di ricacciare le forze del caos quotidiano, costruendo centri di significato, da cui trarre armi per il proprio immaginario, linguaggio e stile, utili alla costruzione del proprio territorio. I recuperi della percezione sono utili, in altre parole, al conferimento di significato al contesto, alla situazione, alla costruzione della località e delle strutture del suo sentire. In altri termini troviamo parole ed espressioni per costruire il nostro lifestyle, dialogo e sentire quotidiano urbano. Le armi di cui si parla sono le canzoni.
L’Hip Hop è pieno di strumenti simili. Nella sua dimensione visuale, uno degli strumenti più evidenti per la costruzione di territorio sono i graffiti, in particolare la tag. La tag, essendo un esempio più materiale e tangibile di una canzone, dovrebbe rendere più evidente ciò di cui si può parlare anche per la dimensione sonora, ossia di materiale culturale HH, che si può presentare nell’accezione di cassetta degli attrezzi per la costruzione di senso quotidiano e locale.
La tag risulta un segno rituale che delimita il territorio su cui si estende l’operato del writer. Come le pietre che venivano utilizzate per delimitare il Pomerium, cioè il confine dell’antica Roma, delimitando in modo rituale uno spazio sacro, allo stesso modo la tag e le canzoni, quest’ultime specie nel loro corpo, nelle loro vibrazioni, e bagaglio semiotico, diventano tecniche di costruzione del proprio ambiente. Per questo si può parlare di tag e canzoni come di armi, che citando “Departed”, possono essere utilizzate in modo che tale, da non far diventare il soggetto il prodotto del proprio ambiente, ma da far sì che il proprio ambiente sia un vostro prodotto.
Questa rubrica si vuole proporre come suggerimenti di ascolto, invitandovi a non arrestarsi alla superficie degli album recensiti. Recensendo vecchi album che ri-costruiscono una genealogia dell’hip hop italiano, costellata di episodi a volte noti e popolari, a volte nascosti e sperduti. Non ci accolleremo l’idea di una cronologia esatta di uscite specifiche, ma ci lasceremo andare alle nostre sensazioni di nostalgia del presente. Rispolverare un album è sempre un’azione, che riveste una certa importanza nel mondo Hip Hop, scegliere poi di farsi sconvolgere il sistema nervoso da queste macchine da guerra starà soltanto a voi deciderlo.
Per iniziare la rubrica vorrei parlare dei Radical Stuff, perché sono uno dei bagliori del big bang della scena hip hop italiana. Uno dei primi gruppi a fare rap in Italia, però talmente vicina agli inizi, da non sentirsi ancora legittimati a farlo in italiano. L’Hip Hop era arrivato in Italia, ma ancora era un elemento alieno, che per il progetto musicale dei Radical Stuff, affondava le proprie radici nel Jazz.
Ascoltando i loro album, in realtà è come ascoltare l’esplosione, che ha dato il via a tutto, è il rimbombo della creazione originaria, che in una jam di free jazz, mette in mostra le prime rime del rap italiano della storia, si però in inglese. Si perché stiamo parlando di un gruppo formatosi nel 1987, da Sean, Dj Skizo, Dre Love, Topcat, Soul Boy, e Kaos, e in un primo momento anche da Dj Gruff. Il gruppo nasce da un vortice di free jazz, per consolidare un universo che c’immerge direttamente nelle atmosfere del rap newyorkese dell’epoca, ascoltando Hardaswallow.
Vi potrete sorprendere nell’ascoltare quanto suonassero bene questi tizi, con una qualità che è senza tempo: consiglio almeno l’ascolto di On The Jazz Trip.
Kaos, come in ogni genealogia mitologica che si rispetti, è il punto di partenza. Come nella Teogonia greca, Kaos è lì prima dell’inizio, fin dalla prima rima in inglese, partecipando e contribuendo al passaggio all’italiano della scena, con “Don Kaos” pubblicata nel mixtape del ’93, “La Rapadopa”.
Il Don del Kaos è stato testimone dell’alba dei tempi, e tuttora continua a guardare dal suo antro lirico, il volto di una scena che, per certi versi non riconosce più come sua. Soprattutto per il poco riconoscimento pubblico e mediatico, riservatogli dagli esponenti più mainstream della scena, così come da parte della stessa stampa di settore. Gli album che oggi Throwback vi consiglia per il vostro viaggio nel tempo, per il vostro ritorno alle radici sono i primi due album dei Radical Stuff: Hardaswallow e Jazzy Rap Night Live, il primo è il loro album ufficiale, mentre il secondo è in realtà il loro primo progetto musicale, sottoforma di album live, eseguito in collaborazione con Lo Greco Bros. Troverete Jazz, rap anni novanta presente già verso la fine degli ’80, diretto dal prossimo futuro, che suona con la consistenza dei suoni più moderni. Sia chiaro, niente canzoncine, in questo caso è solo Roba Radicale.
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