Recensione di Cos’è l’amore
Cos’è l’amore? Questa è una domanda che almeno una volta nella tua vita ti sei fatto. Ne sono sicuro. Da bambini, da ragazzini, da adulti, almeno una volta ce lo chiediamo tutti. Se hai visto qualcuno baciarsi in un film, nella vita reale, se hai visto un genitore abbracciare il proprio figlio, o un nonno stringere a sé un nipote.
Te lo sei chiesto quando ti hanno lasciato o quando ti hanno respinto, te lo sei chiesto guardando il fondo di una bottiglia o di un bicchiere. Ce lo siamo chiesto davvero tutti, almeno una volta nella vita.
I più grandi poeti e scrittori sono stati tirati come marionette da questa domanda, ed essa subdolamente, li ha fatti calcare il foglio bianco con l’inchiostro nero cercando di dare una risposta parziale che li ha poi consacrati eternamente nella storia. E’ la stessa domanda che spinge a prendere i microfoni e gli strumenti musicali a tutti gli artisti che ascoltiamo in cuffia proprio mentre ci rivolgiamo il medesimo quesito.
Ketama126 e Franco 126 hanno provato a modo loro a spiegarlo. Non li biasimerei di certo; come è possibile non parlar d’amore quando hai il lusso di poter passeggiare sui sampietrini di Roma ammirando la luce arancione del tramonto baciare i monumenti?
Il brano merita una menzione particolare non soltanto per la bellezza, che può essere ampiamente soggettiva, ma perché tale traccia rappresenta un punto di mediazione tra la grande tradizione italiana del cantautorato e la musica rap italiana. In questa canzone si ha il piacere di poter ascoltare un ritornello inedito di Franco Califano, cantautore romano scomparso nel 2013. L’elaborazione della strumentale di Don Joe nasce dal ritornello del cantante mai pubblicato e dalla melodia di Alberto Laurenti, fido collaboratore del Califfo. Il prodotto finale dell’abile producer milanese evoca voci in falsetto in sottofondo che si alzano e si abbassano in base alle esigenze dei bassi profondi e dei drills presenti, ora esse scompaiono ora risbucano, accompagnandole con qualche semplice accordo di pianoforte e di violino per poi raggrupparsi tutte ed esplodere nel bridge di Franco nella seconda parte del brano.
Nessun cantautore meglio di Califano poteva prestare un ritornello tanto accurato quanto diretto per questo brano. Ketama in un’Instagram Story aveva paragonato questo prodotto al brano di Post Malone con Travis Scott e Ozzy Osbourne per importanza; il paragone si può definire azzardato solo se si considera la popolarità internazionale, se invece si tiene conto della popolarità nel suolo italiano, il Califfo è un colosso incontrastato della musica italiana. Franco Califano è il cantautore che più si sposa all’attitudine rap per via dei suoi atteggiamenti sopra le righe e della sua vita eccentrica, fatta di eccessi, droghe e belle donne. Se dall’altra parte, dagli anni ‘60 in poi, abbiamo avuto artisti di denuncia o che quasi sussurravano testi fatti di un amore privato, pieno di romanticismo e di atti nascosti, dall’altra c’era Califano che con la giusta sfacciataggine ricamata d’eleganza parlava d’amore nei modi più disparati e più sagaci, ma allo stesso modo veri quanto profondi. Il cantautorato raccoglieva l’aria tipicamente italiana che risultava ottimista, speranzosa, ben pensante e la incollava nei testi conferendo un’atmosfera ovattata e che proiettava un avvenire roseo. Il rap il più delle volte rappresenta la realtà nuda e cruda, senza nessuno zuccherino per poter indorare la pillola, ma in questo brano le due concezioni differenti di approcciarsi alla realtà si stringono la mano e suggellano il loro patto. L’appropriazione da parte di Don Joe di una melodia e di un ritornello tipici della canzone italiana fa sì che si inizi a delineare una parentela tra le due stesure testuali; la voce di Califano autotunnata è una specie di autoincensamento da parte del rap a figlio legittimo del cantautorato con annesso riconoscimento e gratitudine al suo antenato.
[Intro: Franco Califano]
Adesso cantano l’amore
Adesso scrivono l’amore
Non c’è argomento oltre l’amore
Non c’è niente’altro da cantare
Ma pochi sanno il suo valore
Qualcuno accenna il suo dolore
Tanto fa rima con il cuore
Ma pochi sanno che cos’è
In “Cos’è l’amore” Franco Califano è il narratore, la voce guida del brano, colui che pone in essere il postulato e taglia il nastro inaugurando la discussione che avviene tra i due artisti della 126.
[Strofa 1: Ketama126]
Ehi (Kety)
Io non so cos’è l’amore (nah)
Ma so che io la voglio e lei lo vuole (seh)
Voglio farmi del male e poi farti del male (yah)
Perché non esiste il piacere senza dolore (nah), ehi
Lo facciamo hardcore (hardcore), yah
Finché ci si spezza il cuore, ehi
Ogni cosa bella poi muore (muore), yeah
Ha vita breve come un fiore (fiore)
A volte mi sento un vigliacco (ehi)
Per innamorarsi ci vuole coraggio (yah)
Dormo steso su un fianco, dall’altro lato (oh)
Il mio cuore di ghiaccio (ehi), il tuo cuore è in ostaggio (brr), ehi
Non credermi quando ti dico che t’amo (nah), sono solo ubriaco
Nel mio cuore nevica (yah), aspetto primavera (ehi)
Dentro il mio cuore nevica (brr) e solo tu puoi scioglierla
Ketama non sa cos’è l’amore, sa che è istinto, possedersi fisicamente fino a non volersi più martorizzando il sentimento tanto da lasciarlo esanime, incatenato nella cella del cuore. Effimero ed apprezzabile pienamente solo poco prima che venga reciso, come un fiore, delicato, profumato, generatore di vita, ma altrettanto fragile. L’uccisione del sentimento lascia in lui un grande freddo ciclico che può essere placato solo grazie all’intervento della persona amata, capace di liberarlo per qualche secondo ma in potenza di renderlo schiavo per un tempo ancor più lungo.
[Strofa 2: Franco126]
Ci siamo perduti tra banchi di nubi
Da fiumi di dubbi siamo usciti zuppi
Un po’ disillusi, un po’ più insicuri
E le nostre anime inquiete torneranno quelle di due sconosciuti
E gli attimi passati insieme mi sembrerà un altro ad averli vissuti
Volersi accanto e allo stesso tempo sentire di volersi dire: “Addio”
Io prendo tempo con un pretesto
Torno sui passi dopo che mi avvio
Col respiro affannato rincorro un sorriso che scappa (che scappa)
Siamo fiori annegati tra le ortiche e tra l’erba alta
[Bridge: Franco126]
Non so cos’è l’amore, forse è una contraddizione
Una lucida follia, un bluff a carte scoperte
Stringersi forte soltanto per lasciarsi andare via
Non so cos’è l’amore, ma piango sempre quando il giorno muore
E chissà com’è che c’è il sale
Sia in fondo alle lacrime che dentro al mare
Ed avrai mille vite da rifarti senza me
E un tuffo al cuore mi ricorderà di te, chissà perché
Per Franco è incertezza, incoscienza, indecisione, volersi e poi lasciarsi, rincorrersi continuamente per poi riprendersi e rilasciarsi di nuovo, come se il sentimento si comprima nell’ebrezza e nell’inafferrabilità del momento in cui si corre verso qualcosa, quando non ce se ne rende conto perché si è più presi dall’arrivo finale che dal tragitto che si sta compiendo. Afferrarla, stringerla, vederla sgretolare come un calice d’argento che una volta preso in mano diventa sabbia e cade lasciando solo qualche piccolo granello di ricordi tra le dita di chi tenta di brandirlo in mano. Mentire difronte alle apparenze, disperazione davanti all’ineluttabilità del tempo non replicabile, rendersi conto che il retrogusto beffardo e mordace lo si ritrova tanto nella sofferenza quanto nel piacere.
I toni di voce, uno sporco e pretenzioso, l’altro roco ma caldo e consolante, sono la scintilla e lo spiffero che alimentano la fiamma che porta all’ebollizione il grande calderone che contiene i liquidi umorali contrastanti.
Avvenuti gli inevitabili scontri tra l’apollineo e il dionisiaco del sentimento, tra il profano e sacro, tra la parte carnale indomita e la parte spirituale quasi platonica, Califano, come un abile mediatore che si appresta a poco a poco diventare un giudice, ripropone le stesse sentenze iniziali per chiudere il sipario davanti al pubblico e spegnere le luci che daranno vita ad una riflessione che lascerà l’amaro in bocca dovuto al vuoto nello stomaco.
“Amor vincit omnia”, l’amore vince tutte le cose, scriveva Virgilio nelle Bucoliche e tutti ancora lo ripetono a pappagallo scrivendolo sui banchi e sui muri, ma solo chi conosce il pensiero dell’autore latino sa bene che con tale locuzione alludeva al fatto che tale sentimento è una forza incontrastabile che riesce a sgretolare qualsiasi cosa gli si pari dinanzi e non nel senso buono. L’amore non supera gli ostacoli, li distrugge e con essi sventra e dissangua anche un po’ chi lo imprigiona nel petto. Esso crea ingordigia, gelosia e ossessione verso un solo unico oggetto o persona del desiderio in cui vengono convogliate tutte le pulsioni, ma al contempo è ciò che riesce a placare il bellicoso e sanguinoso istinto umano di sopraffare il prossimo. Consegnare una pistola carica a qualcuno, come direbbe Achille Lauro, sperando che non spari, chiedere di ballare un valzer in al tuo partner su una sottile corda tesa tra disperazione e gioia sfrenata sperando che nessuno dei due perda il baricentro.
E’ l’immagine che passa per gli occhi e si installa nel cuore, scatenando nel cervello uno pseudo-stato d’ebbrezza variabile in seguito al rilascio di noradrenalina, dopamina e feniletilamina che ci permettono di trascendere la nostra volontà. Quel tempo che va dai 90 secondi ai 4 minuti per mettere in moto tutto questo e che permette di causare un big bang interno. Lo stato mentale che la scienza sostiene che possa durare fino ad un massimo di tre anni (se non ci si vede spesso), per poi far tornare tutto normale. Ciò che ci fa mandare i messaggi a notte fonda, che ci fa tracannare più alcol del dovuto, che ci fa prendere il bus o il treno anche a prezzi esorbitanti pur di saziare gli altri sensi ingolositi dalla vista e dal ricordo. Siamo tutti d’accordo sul fatto che sia una forza di grandi dimensioni, non sempre incanalabile e spesso misurata in base ai battiti che il cuore può emanare, incerto è il numero delle volte che essa ci fa da sovrana, sostanziali però sono le frequenze delle pulsazioni che rimbombano nella cassa toracica.
Potrei andare avanti per ore citando esempi ma mi rendo conto che è solo retorica vacua, stupide ciance, discorsi nati da esperienze mutile, ma suvvia, oramai adesso tutti parlano d’amore, adesso tutti nelle canzoni tirano in ballo l’amore, non c’è altro argomento da cantare o di cui parlare, sono in pochi a conoscere il suo vero valore, qualcuno può aver percepito lontanamente il dolore che esso rilascia, ma la realtà dei fatti è che non tutti sanno davvero che cos’è.
Di Riccardo Bellabarba
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