L’insostenibile pesantezza dell’“io sono” assale l’individuo nel momento in cui esso stesso si appresta a scavalcare la coltre di preconcetti acquisiti, in età infantile e non, dagli ambienti circostanti. La rottura traumatica con il mondo di credenze precedente che ci ha formato, rinnegandolo in alcuni tratti e mitizzandolo in altri, crea uno sconforto tale che assume le vaghe forme di una voragine che tenta di assorbirci nel momento in cui ci si pone le camaleontiche e sfuggevoli domande esistenziali capaci di creare una paralisi nell’individuo che non riesce a compiere una scelta determinante per il suo avvenire.
Axos, con “Anima Mundi” non risponde superbamente a tutto ciò, ma ci invita ed esorta a riconnettere i tessuti con la vita circostante.
Il percorso da fare prima di Anima Mundi di Axos
Il secondo album ufficiale di Axos, annunciato ormai più di tre anni fa, è il compimento di un percorso, la chiusura di un apparente cerchio che ha come punto d’origine “Mitridate” (primo album ufficiale) e che nel suo tracciato ha iniziato ad assumere sempre più le fattezze di un ellisse in cui i due fuochi acquistano i nomi di “Anima Mea EP”, rappresentante la spiritualità singolare dell’artista, e “Corpus: l’Amore sopra”, la sua estrema concretezza fisica.
I dolori di tradimenti sofferti, di veleni iniettati trasformatisi in antidoti (“Mitridate”), vengono immolati sull’altare sacrificale della musica per poter spiegare i venti alla volta di un viaggio interiore che come prima tappa vede l’arrivo in un primo momento di coscienza (“Anima Mea”) in cui Axos percepisce l’intima essenza di sé. La manifestazione della sua parte spirituale cerca un riscontro concreto, un mezzo fisico per l’espressione, necessita di un corpo in carne ed ossa che permetta all’anima di trovare una sede fisica utile a comunicare all’esterno la sua volontà di espressione (“Corpus: l’Amore sopra); si iniziano così ad intravedere i tratti di un Axos artista-uomo che muove i primi passi, che cerca la sua posizione nel cosmo.
Reggendo in mano saldamente il filo rosso appena fornito della metafora, ci renderemmo conto che l’evoluzione musicale di Axos, si sovrappone congruentemente a quella fatta dal punto di vista contenutistico: se l’Axos dei primi progetti suonava hardcore, nero, graffiante, in “Anima Mea” queste componenti iniziano a liquefarsi, a bollire, a vaporizzarsi fino a rarefarsi tramite gli artifici dei pitch vocali, delle strumentali eteree e delle sfumature vocali. Ciò che prima era solamente nell’aria, in “Corpus: l’Amore sopra” si concretizza tramite dei suoni decisi, sperimentali, essenziali e compressi.
L’uomo-artista Axos, una volta modellato, muove i suoi passi decisi, sperimenta negli approcci (es. “Ci Puoi Fare Un Film”, “Harem”, “Banlieue”, più altri featuring), intraprende percorsi musicali educativi, su tutti la condivisione esperienziale con band musicali e l’ammaestramento della voce, per poi giungere sull’orlo della stessa voragine che lui anni prima, annunciandola direttamente, aveva aperto: la pubblicazione del tanto atteso “Anima Mundi”.
Tre massicci anni di hype fatti di sperimentazione, semi assenza dai social e comparse non fanno che creare un grandissimo burrone, fatto di aspettative, tra l’artista e il pubblico, ma è proprio in questo grande spazio che il disco in questione inizia a prendere forma.
Giunto oramai ad un percorso artistico e di vita pienamente maturo, Axos, davanti al grande vuoto delle aspettative fomentate non ancora realizzate, non decide di saltare, decide di decostruire, destrutturare il plastico del suo ego costruito faticosamente per consegnare ai suoi ascoltatori la vitalità pura che fuoriesce, non perché ciò che era stato fatto prima era sbagliato o ingabbiante, ma perché si necessitava di una nuova prassi di approccio che riconnettesse l’uomo alla sua funzione principale.
Recensione di Anima Mundi
“Anima Mundi” è un album di 14 brani, lungo circa 41 minuti, che smonta pezzo dopo pezzo l’armatura dell’uomo contemporaneo fatta di incertezze, dubbi profondi e inquietudini per poter restituire un’ottica viscerale di vita. Il tema cardine del disco è l’amore, spirituale, fisico, catartico, per le persone, per le storie, per i ricordi, per i sogni e per la vita. Ogni cosa, all’interno del disco, è mossa, spinta o motivata dall’amore: il recupero nostalgico dei suoi generi musicali preferiti nelle strumentali, le citazioni ai suoi libri, film, pittori preferiti, il rapporto con le donne amate, con le sue dipendenze, sua figlia.
Persino la scelta dei featuring è dettata dall’amore (Kina, Rosa Chemical, Ghemon): Kina, dalla caratura internazionale, rappresenta l’amore devozionale per la musica in quanto tale (featuring nato per il freestyle fatto da Axos sul brano “Nobody Cares”, l’artista in questione, in barba dei numeri e convinto dalla performance di Axos, ha deciso di collaborare con lui realizzando la strumentale di “50 mila baci“) nelle sue forme più alte, Rosa Chemical rappresenta l’incontro con l’alterità, l’amore per sé stessi nella propria diversità, sentimenti incarnati in dal brano inno alla spinta vitale “Hallelujah”, in cui i due artisti duettano in perfetta simbiosi senza sentire il bisogno di scambiarsi le strofe, ma facendole in completa sinergia. Ghemon rappresenta l’amore per l’espressione artistica senza confini, “Settimo Cielo”, è l’apertura al pop di Axos, è la prova concreta delle grandi possibilità di sperimentazioni che si ha se non ci si rintana esclusivamente nell’antro di un genere proprio.
Il brano d’apertura “Io” dimostra quanto sia singolare, introspettivo e differenziato l’album: la presenza delle chitarre, chiare influenze del grunge, rock e post-punk ( citazione ancora più palese in “L’amore Ci Farà A Pezzi Di Nuovo” fatta al gruppo “Joy Division”), costella quasi tutto l’album in maniera equilibrata, lasciando spazio ad una fusione di generi più disparati che partono dal rap, declinato anche nelle sonorità più trap, al recupero e richiamo di suoni vapor e lo-fi con marcati momenti di musica elettronica.
Una recensione traccia-traccia rovinerebbe il viaggio evocativo che ogni ascoltatore ha la possibilità di fare ascoltando ed introiettando il lavoro completo, perché ciò che arriva nelle nostre mani come disco altro non è che un approccio empirico alla vita sublimato, cristallizzato, che se interiorizzato profondamente, può dare svariati esiti e chiavi di lettura differenti per ognuno di noi, scoprendo in maniera quasi archeologica, dove Axos ha disseminato le sue componenti spirituali e concrete conciliabili con la propria componente esperienziale e personale.
Delle risposte certe, efficaci e immediate alle nostre domande esistenziali non ci sono, ma nel momento di sconforto generale, Axos fa capire che la stagnante posizione mostratoci nei suoi primi lavori dell’uomo contemporaneo egocentricamente egoista, arcigna, fissa nel suo singolo scomparto, è un concetto ampiamente da superare, da chiudere: il sogno registrato come flusso di coscienza in “California Hate”, l’ultima traccia, è la dimostrazione di quanto appena detto poiché l’artista, grazie alla forza lenitiva, terapeutica e di autopsicanalisi della scrittura, metaforicamente, dissolve, rarefà e sigilla l’aspro risentimento verso gli autori della sua prima rovina.
L’essere umano, in quanto singolo unico, non è uguale a nessun altro, e seppur con le dovute somiglianze, siamo tutti magnificamente diversi, alla luce di ciò diventa quindi fondamentale, in questo pulviscolo di pluralità, fuoriuscire da sé, superare sé stessi e predisporsi ad incontrare l’alterità.
Per quanto banale, o scontato, l’unica forza che ci permette ciò è l’amore: esso è l’unico sentimento che ci permette di mettere da parte noi stessi per poter incontrarsi totalmente con l’altra esistenza senza tentativo alcuno di sopraffazione, è quindi questa spinta interna la vera anima pulsante del mondo.
“Anima Mundi” è forse un album che non piacerà interamente, non è un prodotto per tutti, non scalerà le vette delle classifiche, con tutta probabilità però si sedimenterà nel cuore di chi lo ha ascoltato perché uno dei messaggi di fondo è quello di non cadere nel nostro burrone di incertezze appesantiti dallo sconforto del nostro io ma, in queste situazioni, quello che possiamo fare è ricalibrare, ricollocare e riallacciare la nostra posizione al tessuto vitale, senza tralasciare la propria singolarità, anzi sfogandola, conscio di essere un ente che si incontra, si sfiora, si unisce con altre identità per generare a loro volta altra vita, al fine di mandare avanti, conservare e preservare l’esistenza del sistema mondo.
Di Riccardo Bellabarba
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