Bene, è arrivato il momento di parlare un po’ più nel dettaglio anche dell’Inghilterra e della sua scena urbana. Pur avendo delle radici ben salde sul territorio e potendo da sempre contare su un pubblico fidelizzato, l’Inghilterra non ha sempre avuto gli stessi riflettori di cui ora gode.
Storicamente, il polo principale del rap europeo per antonomasia è quello francese, con un’industria solidissima ancora prima del nuovo millennio e potendo contare anche sulla cinematografia che ha da sempre saputo raccontare le banlieue d’oltralpe. Non è certamente casuale che il cult “L’Odio” (1995) di Mathieu Kassovitz, probabilmente il film europeo che meglio coniuga la vita di strada e le contraddizioni di un quartiere multietnico, venga proprio dalla Francia e che racconti gli anni Novanta ma sia ugualmente attualissimo. Allo stesso modo, non è casuale che a raccontare quella storia sia una colonna sonora rap, che in quel decennio poteva già contare su artisti che vendevano centinaia di migliaia di copie.
La gestazione inglese è stata piuttosto intensa e complicata rispetto a quella francese. Vista la diversa esperienza coloniale britannica, a importare le loro culture di origine sono state soprattutto le comunità caraibiche. Lo strappo vero e proprio si è avuto a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, soprattutto grazie alla diffusione del road rap e del grime/eskibeat (il sottogenere britannico per eccellenza, data la natura elettronica del rap uk) tramite le radio pirate che hanno costruito un movimento dal basso permettendo al rap a consolidarsi tra i più giovani.
Negli ultimi decenni, invece, l’industria è cresciuta a dismisura, con artisti come Tinie Tempah prima e Stormzy poi, con quest’ultimo che detiene il primato dell’essere il primo rapper headliner del festival di Glastonbury. Su ispirazione della drill di Chicago, anche in Inghilterra si è formata una propria interpretazione dello stesso sottogenere riuscendo addirittura a ispirare gli USA a formare la New York drill. Dall’altra parte, sempre più collaborazioni tra USA e Inghilterra hanno aiutato a sviluppare il mercato rap britannico, con artisti come Drake sempre in prima linea e media sempre più interessati al settore.
Stando ai dati, nel report annuale sull’industria musicale d’oltremanica, riferendosi a tutto il 2022, la BPI ha rivelato che il rap in Regno Unito occupa il 12,4% del consumo totale degli album musicale, più del triplo rispetto al 2015.
Una testimonianza di ciò, oltre che dai numeri, è data anche da premi come il Mercury Prize che dal 2016 al 2022 hanno visto ben tre rapper – Skepta (2016), Dave (2019) e Little Simz (2022) – insigniti di questo riconoscimento. Una situazione decisamente diversa rispetto al pre-2016, che contava solo Dizzee Rascal col premio del 2003, per altro il primo rapper a ottenerlo, grazie al dirompente impatto di “Boy In da Corner” (2003) che ha contribuito a diffondere il grime/eskibeat a livello nazionale e non solo.
Se però finora abbiamo parlato di influenze caraibiche ed elettroniche tipiche dei club londinesi, tra quelle da segnalare nel corso degli ultimi decenni ci sono anche quelle africane, provenienti dalla musica di artisti afrobeat come Fela Kuti e non solo. Tra questi c’è sicuramente J Hus, pseudonimo del classe 1995 Momodou Lamin Jallow, che è l’artista di cui parleremo oggi a seguito della pubblicazione di “Beautiful and Brutal Yard” (B.A.B.Y) il 14 luglio 2023.
La carriera di J Hus ormai è quasi decennale ma è un unicum nel panorama britannico. Nato a Londra da genitori gambiani, Momodou ha conosciuto la musica africana fin da piccolo grazie ai suoi genitori. Tuttavia, la crescita non è stata semplicissimo, dato l’approdo immediato nella vita di strada finché, nel 2014, il suo amico di infanzia Moe non si è proposto di fargli da manager e aiutarlo professionalmente con la carriera musicale, a patto che abbandonasse totalmente quella vita.
La scalata è subito immediata: dopo qualche freestyle pubblicato su Internet, nel 2015 arriva il turno di “Dem Boy Paigon”, un pezzo culto della sua carriera e della scena rap uk e che oggi conta oltre 13 milioni di visualizzazioni su YouTube.
Proprio in “Dem Boy Paigon” si intravede il melting pot artistico di J Hus, fatto sia di cultura africana che caraibica, ossia ciò che contraddistinguerà il suo stile e tutto l’afroswing di conseguenza. Il punto è proprio questo: l’unione di rap, dancehall, afrobeat e slang del Multicultural London English (MLE), l’inglese britannico parlato soprattutto nelle grandi metropoli inglesi e che costituisce il connubio dell’interscambio linguistico multiculturale.
Un esempio in tal senso risiede anche nel titolo del pezzo dove “Dem” non è altro che la resa grafica del fenomeno fonologico th-stopping, tipico del patois giamaicano, di rimbalzo anche dell’African-American Vernacular English e del Multicultural London English per via della massiccia immigrazione caraibica, che consiste nella pronuncia della fricativa dentale (fono rappresentato dal digramma th) in un’occlusiva dentale sonora o sorda. In altre parole, viene pronunciato come una D o una T, come nel caso di “Dem”, per l’appunto.
Si susseguono altri riconoscimenti, come la nomination ai MOBO Awards del 2016 e la collaborazione in “Gang Signs & Prayer” (2017), disco di Stormzy. Proprio il 2017 è un anno importante per la carriera di J Hus, che vede la pubblicazione del mixtape “The 15th Day” e di “Common Sense”, suo primo album ufficiale, e della collaborazione con Dave in “Samantha”, che contemporaneamente entrava nelle classifiche musicali britanniche. I due dischi hanno un impatto incredibile, con “Common Sense” che oggi conta oltre 300k copie vendute e che al suo interno annovera “Friendly” e “Did You See”, singolo che ha venduto quasi 3 milioni di copie (triplo platino) e rappresenta finora il più grande successo di J Hus.
Nel 2018 però arriva l’arresto per 8 mesi perché portava con sé un coltello per strada, giustificandosi con “Siamo a Westfield”. Da questo momento, non si hanno più nuove uscite targate J Hus se non la strofa in “Disaster”, contenuta in “Psychodrama”, album di Dave pubblicato nel marzo del 2019. Fortunatamente però il mese successivo è quello del rilascio, con J Hus che sorprende tutti poche ore dopo la scarcerazione esibendosi come ospite a un concerto di Drake all’O2 Arena.
Nel 2020, invece, ancora una volta seguito dal produttore di fiducia Jae5, arriva “Big Conspiracy”, il secondo album ufficiale, che è stato ampiamente accolto dalla critica ed è entrato in classifica in numerosi stati europei. Dopo anni di pressoché assoluto silenzio interrotto solamente nel 2022 con un featuring nell’album di Burna Boy, con cui fin da “Common Sense” ha stretto un sodalizio, arriviamo al 2023 e a “Beautiful and Brutal Yard”.
Nel cammino che precede il disco, J Hus ha pubblicato prima due singoli: “It’s Crazy” nel mese di maggio e più dettagliatamente il giorno del suo compleanno, e “Who Told You”, in giugno, con Drake come ospite d’eccezione. Inoltre, un altro aneddoto curioso è stato l’utilizzo dei manifesti pubblicitari, tra cui spicca quello in cui compare un numero di telefono a cui seguiva proprio una risposta preregistrata dello stesso rapper di Stratford. A inizio luglio, invece, nel suo canale YouTube compare il trailer dell’album, in cui vengono spiegati i pensieri che hanno portato alla sua realizzazione e ciò che sta dietro al progetto.
A differenza dei precedenti, “Beautiful and Brutal Yard” ci racconta di un J Hus più maturo e più cosciente dei suoi mezzi. Si nota fin da subito l’assenza di Jae5 ma non manca di certo la coesione di tutto il progetto, con molte meno sfumature tipiche del road rap con quest’ultimo che lascia molto più spazio all’afroswing che fa assolutamente da padrone già dal singolo con Drake. Per questo motivo, nel corso dei 19 pezzi l’abilità di J Hus è quella di costruire un grande mosaico.
Menzione d’onore anche per le variegate collaborazioni che spiegano tutte le influenze della musica di Momodou. Per esempio, come già detto, tra gli ospiti troviamo Drake ma anche Naira Marley, uno dei pilastri della nuova musica urban nigeriana, Jorja Smith, Popcaan e Burna Boy a dare un tocco più pop e caraibico, ma anche CB, Villz, Boss Belly e infine musicisti, come per esempio Malik Venner in “Militerian”.
Sono numerosi i momenti significativi del disco, ma stavolta l’attitudine da gangster viene lasciata più ai margini rispetto ai precedenti, anche per lasciare spazio ai sentimenti e alla scrittura, un lato che finora era mai venuto così a galla. Tuttavia, in “It’s Crazy” si interroga sul dualismo tra il voler vivere in armonia col mondo ma essere quasi costretto a esternare una parte diabolica di sé.
Quando si parla di scrittura non si intende di testi che necessariamente raccontano di momenti tristi, anzi! Il disco parla proprio di crescita, e lo fa anche parlando non solamente agli uomini, come spesso i rapper sono abituati a fare. Un esempio in tal senso è proprio “GOAT”, l’intro del disco, a riprendere il concept delineato dal trailer uscito tempo prima.
E se con le origini abbiamo iniziato a parlare di J Hus, proprio con esse chiuderemo l’articolo citando altri due momenti del disco, ovvero “Militerian”, in collaborazione con Naira Marley, e “Come Gully Bun (Gambian President)”, che vede il featuring di Boss Belly. Ciò che contraddistingue queste due collaborazioni è che in entrambi gli ospiti scorre del sangue africano, che viene fuori prima di tutto nelle liriche, come in “Militerian” dove si parla anche del rapporto con l’Africa e in “Come Gully Bun (Gambian President), in cui i due rapper entrambi di origine gambiana scrivono una lettera d’amore al Gambia, usando anche la lingua wolof per gran parte del pezzo.
Perché essere se stessi ed essere originali è sempre un’arma vincente e la carriera di J Hus ne è l’assoluta prova.
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