Se al momento dell’uscita di “Bando”, ormai quasi 5 anni fa, mi avessero detto del percorso che avrebbe fatto ANNA, con ogni probabilità non ci avrei creduto. Quel brano sembrava frutto della casualità e destinato a essere una bolla di breve durata che avrebbe portato ANNA ad essere celebrata anche per meno tempo dello statement di Andy Warhol. L’evidenza ci porta a tutt’altra riflessione.
Da one hit wonder ad essere l’esatto opposto, ANNA ha costruito la sua (ancora breve) carriera su brani dal successo calcolato ed era difficile pensare che non sarebbe riuscita a riproporre questa modalità anche nel suo album d’esordio, nonostante esistano esempi che dimostrano sia possibile fare il contrario. “Vera Baddie” è un disco corposo, 18 tracce oggi sono tante c’è poco da dire, ma da quanti banger è composto? Tantissimi. Ma soprattutto, cos’è una “Vera Baddie”?
Seppur facile da intuire, ho scelto di approfondire, anche perché sennò si fa l’errore che hanno fatto in molti durante questo europeo parlando di “aura”, Calafiori e tutto il resto: in riferimento a Camilla Cabello, Vanity Fair definisce le baddies come «giovani ragazze sicure di sé, forti, un po’ “cattive”, che non ci tengono a fare bella figura».
Poi continua e leggo che anche Taylor Swift si definisce come tale. E allora ditelo. Ne sono uscito più confuso di prima, preferisco tornare all’associazione mentale che ho sempre fatto: le “bad bitch” sono sempre esistite e corrispondono alla descrizione minimale letta su Vanity Fair, sicuramente “baddie” è più vendibile e non ha bisogno di parental advisory. In questa visione, ANNA propone un immaginario super inflazionato e anche anacronistico, ma che in Italia ha oggettivamente uno spazio vacante, ma ci torneremo.
Il disco in sé è pieno di banger e brano dopo brano, se si ha l’orecchio allenato, ci si rende conto del potenziale degli stessi. Forti, orecchiabili, catchy. Ha però detto bene Giordano in redazione: “Se tutti i tuoi pezzi sono hit, allora non lo è nessuno”. Infatti, il rovescio della medaglia di un prodotto del genere è che vengono inflazionati i singoli brani rendendoli tutti papabili successi radiofonici/da streaming.
No, non sto dicendo che avrebbe dovuto centellinare la presenza di hit per farle esaltare in un gruppo di tracce invece equilibrate, è che viene a mancare la componente artistica da quanto sembra tutto così sapientemente messo al posto giusto in maniera quasi meccanicistica.
In un periodo in cui l’algoritmo incide sulla qualità, fare un disco playlist diventa anche necessario e “Vera Baddie” ne ha infatti per tutti i gusti. C’è “Why U Mad” (che ricorda “Every Chance i get” di Dj Khaled, Lil Baby e Lil Durk) per la componente aggressiva; “30 °C” e “Miss Impossible” da ascoltare sotto l’ombrellone; “Tonight” in cui ANNA prova con ambizione (o forse superbia) a imitare il vibrato di Lil Yachty; “Bikini” e “I Love It” come potenziali banger da social, ma non solo.
Insomma, ce n’è di tutti i colori, ma se è vero che anche un arcobaleno dai colori sfumati è bello da vedere, non si riesce a capire veramente ciò che ANNA possa diventare da qui in avanti. ANNA sembra essere tutto e niente, nonostante quel “tutto” riesca a farlo discretamente bene e ad essere credibile in ogni cosa dica o faccia.
Il disco inizia con l’esaltazione della rivalsa, un tema evergreen per il rap italiano, ma continua anche per tutto il disco. Solo di sottofondo, nei sottintesi perlopiù, aleggia comunque nell’aria. Perché dobbiamo dircelo, in “Vera Baddie” c’è poco spazio per un messaggio personale esplicito e tutto il movimento e le good vibes che emana sono il vero messaggio: ANNA gonfia il petto, si gode le luci della ribalta, brilla e sembra che nessuno la possa fermare adesso.
“Vera Baddie” è un successo annunciato a livello discografico, difendo senza problemi quest’affermazione ed è un disco forte per l’estate, forte per il target, forte per ANNA stessa. Sembra infallibile, veramente. D’altronde in Italia non ha rivali, non esistono altre ANNA e se esistessero sarebbero palesi wannabaddie. La sua identità è andata a ricoprire il ruolo scoperto nella formazione del rap italiano dove è sempre mancata la figura femminile di carattere, irriverenza e ribellione.
ANNA è la trasposizione di ciò che in America esiste da anni, se vogliamo è anche un po’ uno stereotipo estremizzato (l’insistenza sul termine ‘baddie’ non è un caso) che è sia pregio che difetto. Il rifacimento agli USA è evidente anche dal linguaggio utilizzato: può sembrare un’osservazione banale, ma come noi dovremmo scrivere seguendo l’ottica SEO, anche chi fa rap oggi ha imparato a capire perfettamente cosa dire, cosa non dire, e come dirlo; ANNA “comunica per hashtag” si sarebbe detto una volta, utilizza anglicismi e mischia inglese e italiano per arrivare al target, e lo fa benissimo.
“Porto le cavalle come Megan Thee Stallion”: anche le giovani ragazze italiane necessitavano di una figura in cui ricercare quella trasgressione che sembrava solo privilegio dell’altro sesso. ANNA rompe i tabù e non si pone problemi; parla di soldi, sesso e successo senza avere alcuna remora ed è per questo che funziona.
Seppur si presenti come un disco in serra, dal contenuto preannunciato e confezionato in maniera artificiale, “Vera Baddie” è il disco che tutti si aspettavano da ANNA e probabilmente ha anche superato le aspettative, riuscendo a realizzare brani potenti musicalmente come in pochi riescono a fare appena si supera il confine standard delle aspettative.
I problemi iniziano da adesso: dopo aver mostrato più lati di sé e aver spaziato musicalmente nel primo album (grazie per aver portato l’hyperpop con SillyElly), ANNA avrà ancora molto altro da dire? Potrà anche dire poco o niente, ma in questo gioco devi ricordarti di dirlo bene.
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