Niente resta per sempre. E la storia dei Co’sang lo porta scritto sulla pelle. Ci sono narrazioni che affondano le unghie nella carne, che si aggrappano, lasciano cicatrici indelebili. Fanno parte del nostro vissuto, del patrimonio che ciascuno di noi porta dentro: sono il reticolo di vicoli che collegano il cuore al nostro passato. La storia dei Co’sang mi cammina sull’epidermide e lascia impronte, perché è una storia imperfetta.
Perfectus dal latino “portato a termine”, “compiuto”: è la circonferenza che si unisce al suo punto di origini, che si chiude su se stessa. Il duo di Marianella non però non ha ritrovato il suo punto zero, e la storia di Ntò e Luché è rimasta senza titoli di coda, strozzata dal tempo prima che arrivasse naturalmente alla sua fine.
Ogni percorso artistico è una parabola in tre atti: la prima fase è quella più autentica, e inconsapevole, slacciata dagli interessi di mercati, autoalimentata dal desiderio artistico; l’apice della curva è la fama, i riflettori del successo, il denaro, l’affermazione nel mainstream; la terza fase è quella discendente, la più malinconica, la più involutiva, il momento del bilancio artistico, quello in cui si ripercorre a ritroso il filo della carriera.
“Vita Bona”, il secondo e l’ultimo album dei Co’sang è lì, tra l’origine della parabola e il suo punto più alto, è il momento in cui il duo ha spiccato il salto dall’asfalto più crudo di “Chi more pe me” verso i riflettori di una più decisa affermazione nazionale, di un pubblico più ampio, pronti per entrare nei circuiti delle discografiche italiane.
Insomma “Vita Bona” è la naturale conseguenza del progetto che lo precede. Come sia andato questo salto non ci è stato dato saperlo, anzi, forse proprio durante questo volto (o forse proprio a causa di questo volo) il progetto artistico Co’Sang si è disgregato, sfumato nei vapori di quel ghetto tanto raccontato.
Titolo è copertina raccontano questa trasformazione. Luché stesso, durante una conferenza stampa, ha raccontato come la scelta del titolo “Vita Bona” sia stata dettata dalla volontà di tagliare con la narrazione cruda e “mortifera” di “Chi Mmore Pe”, per lanciare un messaggio positivo, di speranza: la “vita bona” è l’obiettivo chi ha passato tutta la vita a lottare nel ghetto, la “vita bona” è l’aspirazione a cui tendere, la “vita bona” è la rivalsa di due amici nati e cresciuti nella stessa fame, Luca e Antonio, che grazie alla loro arte si sono ritrovati nel mirino dell’Europa tutto.
Guardare la cover del disco vuol dire sottoscrivere il cambio di prospettiva che l’album impone. In copertina svettano le figure dei due Mc’s, assenti in quella dell’album di esordio che metteva al centro invece i palazzoni della periferia di Napoli (o di tutte le periferie del mondo?). L’occhio del regista ha cambiato direzione: se il primo album dei Co’Sang è crudo come un film di Pasolini, rappresentazione tagliente e asettica della vita massacrante nella periferia d’Italia, tra violenza, criminalità, povertà e sofferenza, senza protagonista; “Vita Bona” ci racconta di come quella storia ha influito proprio sui due rapper, di come quella realtà li ha portati ad essere qualcosa di più, come Ntò sottolinea in “Indy-geni”:
‘O primmo disco zero featuring, mo simmo na realtà europea”
Co’Sang – Indy-geni (Vita bona, 2009)
Insomma, se in “Chi mmore pe me”, la vita di strada è il presente che viene ripreso dalla cinepresa e proiettato nelle tracce, in vita bona quella stessa narrazione diventa racconto, ricordo al passato.
Non è un caso che “Vita Bona” inizi con “80 – 90”, il racconto di com’era vivere nel quartiere prima degli anni 2000. Il ritornello è una lettera d’amore a quella strada così raccontata, così fotografata e immortalata. I Co’Sang ripercorrono la loro storia nel corso del brano, desiderando di tornare indietro alle loro origini per regalare la libertà a chi è rimasto vittima dell’asfalto.
Si putesse retrocedere, pulezzasse a chi è innocente
Co’Sang – 80-90 (Vita bona, 2009)
‘A fedina ‘a l’ingiustizie e l’indecenza ‘e duje decenne
Nella “Vita Bona” c’è la convinzione che la strada non sia solo il punto di arrivo della narrazione musicale, ma la convinzione che il disagio urbano sia il trampolino di lancio di una nuova vita, la base di partenza del sogno.
Senza la vita di strada non ci sarebbe arte, senza il ghetto della periferia i testi stessi sarebbero vuoti. Il secondo brano del disco, “Momento di Onestà”, in questo è chiarissimo. Il brano è preceduto e seguito da due skit, in cui Luché sembra svolgere una vera e propria dichiarazione di poetica.
Il disco è del 2009, negli anni in cui il dibattito sulla criminalità organizzata è al suo apice: Gomorra è uscito da 2 anni, il film a esso ispirato da appena uno e l’opinione pubblica tutta si aspetta, che i Co’Sang narratori in prima linea del sud dilaniato dalla camorra prendano posizione.
Nell’intro del brano Luché riprende la polemica, sottolineando come il duo sia della gente, del pregiudicato e del plurilaureato, indipendentemente dall’estrazione sociale; che la criminalità organizzata non viene in nessun modo spalleggiata dalla musica dei co’sang, ma che risulta uno degli argomenti di una narrazione più ampia.
Immaginare una polemica del genere all’altezza di “Chi more pe mme” è impensabile: “Momento di Onestà” è la dimostrazione che il duo di Marianella è al centro di relazioni più ampie, che coinvolgono l’opinione pubblica a livello italiano e non solo campano, la politica e i media nazional-popolare.
Relazioni. Se “Momento di Onestà” è il segno di un allargamento di visibilità, “Nun me parlà e’ strad”, con Marracash e El Coyote, dimostrano un allargamento artistico che andava oltre i perimetri della provincia di Napoli. Intorno ai Co’Sang nel 2009 cominciano a ruotare personalità artistiche come il rapper di Baron, al centro dello star sistem del rap italiano. Il brano è una delle street hit più iconiche del suo anno, pilastro imprescindibile della discografia del duo.
Impossibile chiudere il discorso su “Vita Bona” senza parlare di “Riconoscenza”. Ci sono brani che segnano una vita, canzoni che accompagnano le grandi trasformazioni di un’esistenza intera. “Riconoscenza” è parte della mia storia, dei figli orfani di una madre spietata. Il brano, sul campionamento di un delicatissimo pianoforte, è il grande atto d’amore che Luca e Antonio fanno nei confronti dell’asfalto che li ha partoriti.
La riconoscenza dei Co’Sang è la promessa di ritornare a casa con i soldi della musica, di migliorare la propria terra “come un politico sincero”. Partire per tornare, tornare per cambiare. In “Vita Bona” la cinepresa dei Co’Sang non è più passiva accettazione della morte, ma disperata ricerca della vita. Di una vita migliore. Di una Vita Bona.
Il 14 febbraio del 2012, con un post su Facebook, i Co’Sang si sciolgono. Nel giorno degli innamorati, il loro amore è finito. La loro storia si è fermata lì, imperfetta, incompiuta. La loro eredità però, ha camminato sulle gambe delle loro parole. Ogni giorno in quei testi non muore mai la speranza, non muore mai la rabbia di voler cambiare le cose. La nostra riconoscenza.
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