Rkomi sceglie di fare un passo indietro, in ogni senso possibile, per poterne fare poi tre in avanti. È questo che traspare da “decrescendo.”, l’ultimo disco dell’artista milanese. La narrazione sottintesa rappresenta una rottura con il passato, il quale viene affrontato di petto, con enfasi, ma anche con una leggerezza artistica che la rende intercettabile da tutti.

Mirko si rifugia nel passato, nei ricordi, rendendo i suoi trascorsi alla mercè del giudizio altrui. Il risultato sembra essere arrivato: nonostante il disco non abbia una componente Rap che prevale sul resto – assenza che nella sua discografia degli ultimi anni ha pesato molto sulla fanbase più storica – esso è stato particolarmente apprezzato. Più di quanto ci si potesse aspettare.
Del genere tanto a noi caro resta una reminiscenza, un ricordo sfocato che viene chiamato in causa in sprazzi di musica pop con tentativi sperimentali. C’è “interferenze.” che ricorda un Mirko d’altri tempi; ci sono reference nascoste qua e là; ma soprattutto ci sono gli ospiti come Ernia, Lazza, Bresh e Tedua che ricordano i vent’anni dell’artista milanese, ma anche un po’ i nostri.
La necessità di interrompere il cortocircuito comunicativo, nato all’incirca da “INSUPERABILE“ in poi, ha spinto Rkomi a porre nuovamente al centro il messaggio. Il testo. Le parole. Non è un caso che la promozione social del progetto prevedesse gli spoiler del testo di alcuni brani.
Eppure, si sarebbe potuta cavalcare la notorietà aggiuntiva di Sanremo e del “ritmo delle cose”. Invece non ci sono balletti su Tik Tok o tentativi di promo che estenuano la ricerca di un’immagine social. Vengono solo messe in evidenza le parole, frasi estrapolate da un contesto che, se ti fosse interessato, saresti dovuto tornare a cercare per comprenderlo. Come pezzi di un puzzle (“passo io per lo stronzo” cit.) da completare.
Non che non fosse comunque un contenuto condivisibile e che colpisse l’attenzione dell’user, ma quanto meno si è rivelata una scelta più sensata e genuina, in linea con l’idea di Rkomi, il quale si è sempre distinto nella scrittura e, al netto di scelte musicali che si sono evolute nel tempo, ha sempre cercato di mantenere questo aspetto come tratto caratteristico della propria arte.
In “decrescendo.” restano episodi che sembrano banali, probabilmente accentuati da tematiche inflazionate. È difficile trovare modi nuovi e originali per parlare di tematiche come l’amore, per esempio. Allo stesso tempo, Rkomi riesce a mettere in evidenzia il suo stilema che lo rende unico nella scrittura: le assonanze che prevalgono su rime baciate, alternate, o le altre tipologie. È un aspetto che ha sempre influito sul giudizio di Rkomi per quanto riguarda l’opinione chi sta scrivendo in questo momento; così come influisce il racconto del passato.
Arriva un punto nella carriera dell’artista in cui diventa necessario affrontare i fantasmi del proprio passato. Dal centellinarlo in rime o concetti sporadici sparsi lungo la carriera, al racchiuderne tante in un solo progetto.
“Quando al compagno di mia madre non bastaron le parole
Io avevo nove anni e stavo già imparando a odiare
Lui la spinse contro il tavolo, io spiavo dalla sala
Avrei preso un candelabro solo per spaccargli il cranio
Chiamai mio fratello giusto in tempo prima che ci ricascasse
Credo fosse sotto un treno, pieno di sostanze
Lo dico a pezzi perché è troppo pesante
Questa è l’ultima infedeltà di cui mi carico”
Rkomi – “l’ultima infedeltà.” (decrescendo., 2025)
Come già detto, in “decrescendo.” Rkomi torna indietro nel tempo, ma rimane orientato verso il futuro. Cerca di mutare, fallendo. Questo è un po’ il pregio e il difetto di Rkomi, allo stesso tempo. Da sempre alla ricerca di una forma indefinita, figlia del suo tempo e senza una direzione. Chiamiamola libertà artistica, volontà di non etichettarsi e se per alcuni può apparire come un plus, per altri può rivelarsi un essere né carne né pesce.
Rkomi non si rivede in ciò che ha attorno – come racconta a Greta Scarselli nel Podcast di OutPump – e sgomita cercando di dare un ordine alle idee e ai pensieri: “Se rimarrò, rimarrò per quello che ho in testa”.
Ragazzini che in metro si fanno forza a vicenda
Due canestri, un campetto, l’ora della merenda
Essere grandi in un attimo, un taglio e perdi la testa
La prima cotta, il primo amore, il primo derby allo stadio
Erba bruciata dentro un campo di grano
In otto in casa come se la stessimo occupando
Come se ce ne stessimo occupando noi
La verità è che non ho più gli stessi sbatti di prima
Tornassi indietro farei tutto quello che ho fatto prima
Noi non avevamo sogni, solo restare in vita
Rkomi – apnea da un po’. (“decrescendo.”, 2025)
Sempre nello stesso Podcast, Rkomi spiega così, in poche parole, il senso del titolo del disco: “Questo decrescendo per me è un crescere verso il basso, in profondità”. La sensazione è che neanche lui sappia benissimo cosa vuole dire. Se lo sa, non l’ha fatto arrivare. È probabile che abbia semplicemente cavalcato l’onda del meme sul corsivœ. Tra l’altro, una parentesi divenuta in poco tempo stucchevole.
In realtà, banalmente, crescere in profondità può voler dire scavare dentro sé stessi, favorendo un’introspezione che fa risaltare il Mirko uomo, che può essere perfettamente in linea con lo Rkomi artista, mai veramente un personaggio che mette in risalto tematiche capitalistiche o di emancipazione onnipresenti nel genere Hip-Hop (di cui, diciamolo, ormai fa parte a malapena di striscio).
Quello che rimane è una sterzata, uno step positivo per la sua carriera. Il disco ha un’anima, Mirko riesce a comunicare anche l’incomunicabile. E seppur il progetto risulti pesante nella sua lunghezza e a tratti ripetitivo, è stato il progetto giusto al momento giusto per la sua carriera.
Seppur con i suoi difetti, Rkomi torna a presentarsi per quello che è: un artista imperfetto che dà valore all’imperfezione, al trauma, al vissuto. Ancora in apnea, ma con la consapevolezza di chi ha trasformato la musica da semplice strumento di sfogo in un autentico messaggio. Per se stesso, prima ancora che per i fan.
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