Recensione di Milano Soprano
Don Joe con “Milano Soprano” ha riportato la chiesa al centro del villaggio. Citare Fabio Caressa dopo la vittoria degli europei mi sembrava il modo migliore per celebrare sia quest’ultima sia l’uscita del nuovo album del fondatore di Dogozilla.
Negli ultimi anni la distribuzione artistica sul territorio nazionale è stata più variegata, ma nonostante ciò Milano rimane il centro nevralgico dell’Hip Hop italiano, checché se ne dica, e probabilmente oggi più che mai: il nuovo album di Don Joe unisce vecchia e nuova scuola, mainstream e underground, dimostrando che la proliferazione di talenti è un pregio innato di questa città.
Milano ha i suoi codici e i suoi dogmi, come dice Silent Bob, e Don Joe se ne fa portavoce, scegliendo il meglio di Milano e dintorni per raccontare cosa rappresenta vivere sotto l’ombra del Duomo.
Don Joe si racconta anche, non lascia parlare solo gli altri: su 16 tracce ben 5 sono Skit che fungono da trait d’union musicale e con i quali
spiega Milano dal suo punto di vista: la sua ambizione nel conquistarla fin dall’inizio, le vicende che ha vissuto per le strade, la cadute e le risalite, concludendo con la consapevolezza che è riuscito nell’intento di conquistare tutto quanto, tutta la sua Milano, parlando come se fosse una sua creatura in qualche modo.
In fondo la scena milanese è figlia di Don Joe, figlia della Dogo Gang e di quel movimento irriverente che ha rappresentato agli inizi del millennio e che si è espanso oltre la city e oltre la regione, infatti ogni rapper uscito dopo quegli anni cita la Dogo Gang come fonte d’ispirazione, come vetta da raggiungere, come status a cui ambire. E persino la Dogo Gang è tornata in occasione di questa istantanea made in Milan, dopo tanto tempo. Mi ripeterò, ma adoro definire i producer album come istantanee della scena contemporanea, così come tutta la redazione lo pensa, ma la differenza è che in quest’album gli ospiti non si sono messi a disposizione delle caratteristiche del producer, ma il producer, insieme ad essi, si sono messi al servizio della loro città, restringendo la distanza focale in un determinato territorio, omaggiandolo come si deve.
Milano deve tanto al Don quanto lui deve ad essa, così come Marracash, Guè Pequeno, Ernia e tutti gli altri presenti del disco che ambiscono a raggiungere l’elite. Per molti è ancora presto, ma esser stati chiamati in questo disco è sicuramente una benedizione da chi di dovere in tal senso.
Il disco è chiaro, diretto, scorrevole, poco spazio a fraintendimenti, tanto rap e poco altro, sicuramente più adatto a sedimentarsi nell’immaginario collettivo con il passare degli anni rispetto al suo ultimo disco da produttore “Ora o mai più”.
Cosa ne resterà della sua Milano, si chiede il Don. Chi può dirlo, magari questo disco verrà dimenticato oppure tra vent’anni sarà culto. È certo però che la sua figura ha contribuito a garantire un futuro alla città, musicalmente parlando, perché il suo è un percorso è fatto di tappe, e se in ogni tappa si ha seminato bene inevitabilmente si raccoglieranno i frutti.
Di Simone Locusta
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