Recensione di Giovane Rondo EP
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Due giorni fa è uscito Giovane Rondo primo lavoro ufficiale di Rondodasosa, rapper milanese classe 2002, resosi noto al grande pubblico grazie a “Face to Face”, remix di Exposing Me di Memo 600 e King Von, “Slime” in “J Mixtape” di Lazza e “Loboutin” con Vale Pain.
Giovane Rondo, un EP di 7 pezzi con 4 featuring spalmati su 3 tracce (in ordine Shiva, Capo Plaza, Vale Pain e Abby 6ix, gli ultimi due nella medesima canzone) che si potrebbe dire presentativo vista l’attuale posizione di Rondo.
A livello sonoro non si può dire sia un brutto lavoro, la maggior parte del progetto suona bene con pochi momenti di calo, produzioni e linee melodiche interessanti, niente di particolarmente innovativo ma comunque efficace, considerando anche che parliamo di un EP e che quindi non ci si poteva aspettare niente di più. Il grosso e, per quanto mi riguarda, insormontabile problema si trova quando si va ad analizzare le tematiche trattate e l’immaginario che questo progetto porta: gang, spaccio e tutto ciò che riguarda il mondo trap d’oltreoceano, ormai ben noto alla maggioranza che segue più o meno assiduamente il rap in Italia, con una tracklist che sembra costruita seguendo una scelta casuale tra i termini più usati nel genere, sensazione che si percepisce anche nei vari testi.
Abbiamo realmente bisogno di questo nella musica che ascoltiamo? Perché dobbiamo ascoltare e, nel caso degli artisti parlare, di tematiche e contesti che non ci appartengono?
Tutti coloro che sono cresciuti ascoltando il rap conoscono i contesti sociali in cui il genere è nato, la maggior parte di essi si saranno anche lasciati ispirare da ciò, ma un conto è lasciarsi ispirare ed ambire ad arrivarci in qualche modo e un’altra questione è renderlo nostro appropriandocene senza il bagaglio di esperienze sociali e culturali che una provenienza tale comporta. Il fenomeno dell’appropriazione culturale indebita nel tempo è cresciuta portando gli ascoltatori (non tutti chiaramente) a prediligere un prodotto valorizzandone le sonorità piuttosto che le tematiche e il messaggio che la canzone porta, quelli che una volta venivano definiti “gli argomenti”; questo topic, che col tempo ha portato ad un vero e proprio conflitto tra “puristi” (gli affezionati ai testi) e “progressisti” (chi invece prediligeva il nuovo modo di fare e intendere la musica, ad esempio la Dark Polo Gang), ha un po’ dato il via a questa tendenza.
In tutti i periodi storici di espansione del rap italiano gli argomenti e il loro padroneggiamento hanno sempre giocato un ruolo fondamentale, a metà anni 2000, quando la Dogo Gang raccontava la vita nelle periferie milanesi e i Co Sang quella nel sud, con tutte le problematiche ad essa collegate, e a metà degli anni ’10, quando Tedua, Izi, Rkomi, Ghali e Sfera ne ripercorrevano le orme cantando di Genova, Milano e dei palazzoni. In tutti questi anni l’ispirazione è sempre stata l’America, ma i sopracitati sono riusciti a portare quello che veniva fatto Oltreoceano rendendolo nostro, raccontando il vissuto dell’Italia, di cose che qua esistono e succedono. Oggi invece si parla di gang, ci si definisce come membri di gruppi che qua, ontologicamente parlando, non esistono, e arrivando a usare terminologie decontestualizzate, in particolar modo la n-word, che sicuramente non sarebbero apprezzate negli States.
Tiriamo le somme, questo è il problema che in Giovane Rondo EP incide pesantemente sull’apprezzamento finale e che è presente in una grossa fetta dei ragazzi che cercano di farsi strada nel rap game odierno.
Sentiamo realmente il bisogno di un prodotto del genere?
Di Simone Molina
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