Dopo il rilascio di “PLAZA” sembrava chiaro a tutti che, a poco a poco – persino fra le fila di un pubblico molto poco esigente come quello nostrano –, si stesse facendo strada un’innegabile sensazione di fastidio nei confronti della musica trap dello Stivale, spesso monotona, stanca, praticamente ancorata ai soliti stereotipi che dopotutto hanno portato alla ribalta molti dei suoi più autorevoli esponenti.
Il messaggio della suddetta opera, in fin dei conti, era piuttosto lampante: cercare di riproporre quanto fatto in “20” attraverso la solita collaudata formula – in compagnia del fido AVA – che ne caratterizzò il successo ma, ahimè, senza la cosiddetta freschezza dei bei tempi andati. E quella simpatica serie di discorsi che, a pochi giorni dall’uscita del discusso sophomore album, cercarono miseramente di vendere al pubblico nostrano un Capo Plaza improvvisamente “maturato” e carico di una nuova verve creativa, finirono per rivelarsi nient’altro che falsi, se non addirittura irrispettosi.
Sì, perchè – diciamolo chiaramente – Plaza non ha mai voluto fare della maturità, dell’introspezione e di un certo tipo di consciousness applicata al rap il suo punto di forza, e la verità è che andava bene così. Il ritratto autentico e crudo offerto dal rapper salernitano, infatti, era diventato parte integrante della sua personale cifra stilistica, un elemento inscindibile dalla sua musica, senza il bisogno di inutili giri di parole, volti soltanto ad infarcire con caratteri formali subdole ed inefficienti strategie di marketing. Ebbene, dopo un simile progetto poco più che sottotono – abbellito, si fa per dire, da una contenuta deluxe edition – Capo Plaza è tornato a calcare il fatiscente palcoscenico della trap italiana con “Goyard”, accompagnato ancora una volta dalle note del solito AVA, e con risultati per di più convincenti.
Si tratta di un brano intenso, in perfetto stile Capo Plaza che, certo, non si prende il merito di aggiungere chissà quali elementi inediti al repertorio del salernitano, ma che in compenso può fregiarsi della consegna di un ritratto fedele circa la sua singolare idea di intrattenimento sonoro.
Perché, in fondo – e a pieno rischio di risultare stantii e monotoni –, è proprio quanto segue ciò che più dovrebbe colpire della musica del giovane rapper di Salerno: la proposta di un tono particolarmente aggressivo, scandito dalla più classica delle produzioni legate al genere di appartenenza, senza la minima pretesa di risultare sperimentale o in fase di evoluzione artistica.
Negli ultimi anni, infatti, molti sono stati gli artisti vantatosi di aver fatto della sperimentazione e della padronanza di diversi tipi di sound – spesso completamente disconnessi dal personale background di riferimento – il proprio cavallo di battaglia, appropriandosi di un interessante numero di generi musicali che, ahimè, risultavano perfettamente separati dal proprio stile e dalle proprie doti tecniche.
La verità, insomma, è che non è – e non dovrebbe assolutamente essere – obbligatorio per un artista cercare di trasformare se stesso in una sorta di vero e proprio “tuttofare” in ambito musicale. Occorrerebbe, anzi, ricordare che spesso la cosiddetta comfort zone – se ricalcata ovviamente in maniera corretta – potrebbe senz’altro rivelarsi molto più interessante ed efficace di un qualsiasi lavoro tanto variegato quanto inconsistente, e per questo spacciato per “maturo”. “Goyard”, allora, finisce per inquadrare perfettamente quanto sin qui scritto, trattandosi di un prodotto telefonato, certamente confortevole, per nulla maturo rispetto agli standard legati all’artista in questione, ma nel contempo in grado di presentarsi come sincero e funzionale. E, forse, va benissimo così.
Di Ciro Arena
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