Recensione di Hollywood’s Bleeding
Post Malone è riuscito a creare una ricetta personale che incarni alla perfezione le caratteristiche del pop moderno di successo, contornata da influenze provenienti da altri generi musicali. Ma ha davvero convinto proprio tutti?
La ricetta di cui ho accennato nell’introduzione è riflessa in uno dei brani più ascoltati di “Hollywood’s Bleeding”, l’ultima fatica dell’artista newyorkese di cui tratteremo oggi: sto parlando di “Circles”, brano molto apprezzato dai più nonchè singolo scelto ad hoc per essere pubblicato poco prima dell’uscita dell’album. La caratteristica più semplice da individuare, e che si ritrova nella maggior parte dei suoi brani, è la capacità di catturare l’attenzione degli ascoltatori grazie a delle melodie, a tratti simili, che rievocano un sentimento di malinconia mascherata però da un’atmosfera più “happy”. Per fare un esempio, in Circles, riesce a farmi cantare “seasons change and our love went cold / feed the flame because we can’t let go” preso bene in macchina come se stessi cantando “Old Town Road” di Lil Nas X, e questa è sicuramente una sua forza perché diciamolo, le radio non amano emanare negative vibes.
La musica di Posty, però, non la scopriamo solo oggi, infatti il suo stile si è consolidato nel tempo con la produzione di brani e progetti realizzati bene o male sempre con lo stesso stile. Dopo “Beerbongs & Bentleys”, l’album che lo ha consacrato come artista di fama mondiale o, come piace definirlo a me, “il nuovo Drake”, era difficile stupire. E’ riuscito a stupirmi? Poco in realtà: ¾ dell’album ci mostra il Post Malone che già conosciamo e, perché no, che ci piace tanto, tra picchi alti come nella title-track e filler preventivati come in molti album con più di 15 tracce; nonostante ciò ho trovato anche un pizzico di novità, come il pop-punk di “Allergic” o il clamoroso featuring che mette insieme Post Malone, Travis Scott e Ozzy Osbourne (storico membro dei Black Sabbath). Parlando delle collaborazioni, sono rimasto piacevolmente colpito dall’insolito feat citato due righe più in alto e da Halsey in “Die for me”, dove condivide il ruolo di featuring con Future, al quale vorrei dire due parole: Caro Future io ti voglio bene, spacchi, però basta fare le stesse strofe dal 2012. Concluso questo teatrino confidenziale, il resto delle collaborazioni non mi hanno sorpreso troppo, da SZA a Lil Baby, che a parer mio svolgono un lavoro sufficiente; un’eccezione va fatta per Young Thug, il quale ha contribuito a realizzare quello che secondo me è il brano più “forte” a livello di sound: “Goodbyes”, già uscita a Luglio.
Dalla
copertina di “Hollywood’s Bleeding” allo stesso titolo le mie aspettative si poggiavano su un
concept più cupo di quanto sia in realtà. Inoltre, la presenza di un brano come
“Sunflower” (brano realizzato per il film di Spider-man!) ha un po’ influenzato
la mia concezione generale del progetto, dato che sono abituato a tener conto
di certi dettagli.
Le tematiche trattate sono abbastanza frequenti nel mondo pop, come il clichè dell’amore o il peso del successo nella vita quotidiana, e questo rende godibile l’ascolto di un progetto realizzato per ampliare, o meglio fidelizzare, la miriade di fan conquistati nel tempo a suon di hit, a partire da “White Iverson” o “Too Young”, passando per “Rockstar” fino a “Wow” o la più recente “Circles”, che hanno contribuito a rendere Post Malone uno dei più grandi esponenti dell’intero panorama musicale.
Di Simone Locusta
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