L’album d’esordio sotto major di Gemitaiz è un caso particolare e al contempo esemplare e generalizzabile. “L’Unico compromesso” sembra infatti essere la prova lampante di come l’industria discografica inneschi dei meccanismi specifici sulla psiche, sulle aspirazioni e sul modo di fare musica di un artista.

Gli album di esordio sotto contratto discografico, di solito, segnano il passaggio dall’underground al mainstream. Fabri Fibra intitolò il suo primo album sotto major “Tradimento” che non a caso intendeva essere un titolo provocatorio nei confronti del proprio pubblico, che era prevalentemente composto da rappusi. Il tradimento era quello verso la scena hip hop italiana underground da cui proveniva il rapper marchigiano.
Nello stesso modo in cui Fibra fece a suo tempo con il primo album in major, Gemitaiz con “L’Unico compromesso”, come recita il titolo, annuncia il passaggio da un ambiente indipendente e sotterraneo alla casa discografica, che in questo caso è Tanta roba Label, con distribuzione Universal.
Questo primo album è un esempio particolare e generale allo stesso tempo, proprio perché segna l’approdo di un nuovo artista emergente alla grande distribuzione di massa. Il passaggio dalla scena underground al mainstream funziona spesso, se non sempre, come il sillogismo aristotelico.
Il sillogismo aristotelico è in sostanza lo schema logico del ragionamento deduttivo, il quale si basa su due proposizioni, ossia due premesse da cui partire per dare luogo a una terza frase, cioè la conclusione. La conclusione del ragionamento è una sorta di sintesi delle premesse, che in quanto tale occulta, anzi elimina alcuni elementi delle premesse che hanno permesso la deduzione logica della proposizione finale. Quest’ultima è come una torta di cui le premesse sono gli ingredienti di cui ignoriamo la presenza, perché vediamo soltanto il risultato finale della ricetta.
Continuando a seguire questo parallelismo potremmo dire che l’album d’esordio sotto major di un rapper underground, spesso, ci fa vedere soltanto il risultato finale di un percorso, nascondendo ed eliminando quel che c’è stato prima. Non tutto, sia chiaro, ma una buona parte. Quindi cos’è che manca di Gemitaiz nel suo album d’esordio sotto Tanta roba?
In primo luogo, manca l’amico e collega Canesecco, che viene completamente eliminato dalle collaborazioni di Gemitaiz. Il collega di sempre, non sappiamo se per questioni personali o se per questioni commerciali, non apparirà più nei progetti di Gem, come se la visibilità ottenuta non potesse più essere condivisa arrivati ad un certo livello di esposizione. Canesecco diventa il compare troppo grezzo, che non può venire con te nel nuovo locale di lusso e blasonato.

In secondo luogo, quel che manca è la scioltezza di Gem che, sia nei mixtape sia nei progetti di gruppo, aveva dimostrato di sapersi adattare su sonorità sempre nuove e sperimentare flow sempre originali e di impatto. Gemitaiz è sempre stato fresco e multiforme, mentre qui sembra essere un po’ ingessato. Tutto quello che viene a mancare rispetto ai progetti precedenti lo porta ad essere un po’ più impostato. Gemitaiz è bloccato dall’imperativo della casa discografica, che immagino fosse la richiesta di dover riproporre la formula che gli aveva permesso di ottenere l’esposizione raggiunta.
L’unico compromesso è dieci canne al giorno
Gemitaiz – “L’Unico Compromesso” (“L’Unico Compromesso”, 2013)
co’ una birra fresca
il sorriso quando hai una tempesta fuori la finestra
È proprio la riproposizione di una certa formula che rende manifesti i meccanismi dell’industria musicale. La ricerca da parte del music business di creare e commerciare un prodotto che funzioni diventa una specie di schiacciasassi sugli slanci di originalità di un artista. Il calcolo costo-efficienza è quel che guida le scelte di mercato e che influenza poi il prodotto artistico finale.
“L’Unico compromesso” ascoltato ad anni di distanza, se confrontato sia con i progetti precedenti sia con quelli successivi, rende chiaro il fatto che l’emergente Gemitaiz sentiva da un lato un po’ d’ansia da prestazione, e dall’altro altrettanta pressione da parte della major. Questo confronto rende manifesta la logica industriale sottostante proprio perché, paradossalmente, ciò che Gem ha fatto prima e ciò che ha fatto dopo suona complessivamente meglio di “L’Unico compromesso”.
Probabilmente Gemitaiz doveva ancora adattarsi al nuovo ambiente e al livello a cui era arrivato. Forse era ancora troppo abituato alla Torre di Controllo, allo studio caldo e afoso di Mixer T, rispetto al freddo e patinato ambiente della Universal.
In conclusione “L’Unico compromesso” è un tassello fondamentale della carriera di Gemitaiz perché rappresenta il salto definitivo dall’underground al mainstream, ma al contempo a livello di ispirazione, suono e stile è uno dei suoi progetti musicali più deboli.
“L’Unico compromesso” è letteralmente quel che dice di essere. La maggiore esposizione ha richiesto a Gemitaiz di sacrificare una parte di sé per ottenere e raggiungere nuovi traguardi. Gem ce la farà con risultati sempre più personali e pieni di passione, che lo porteranno ben oltre la plastificazione industriale.
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