La mia generazione non ha futuro. Me lo sentivo gridare dietro la schiena: è una voce adulta che mi rincorre mentre cercavo di farmi strada nei diversi passaggi forzati che la società impone. Diplomati con il massimo dei voti, laureati con il massimo dei voti, specializzati con il massimo dei voti. Ma dietro di me, come un indefesso memento mori, sentivo la condanna a morte: la prima generazione che non può sperare in un futuro migliore rispetto al suo presente.
Adesso che ogni giorno siedo dietro ad una cattedra lo vedo negli occhi di ogni studente: la paura del futuro. Domani crea ansia, perché non è detto che sia meglio di oggi. Ma non dobbiamo stupirci: ci stanno sfilando sotto gli occhi crisi ambientali, conflitti intestini, pandemie e nazionalismi incalzanti. Domani fa paura.
Quando si parla della musica dei giovani i media generalisti e il pubblico nazional–popolare hanno una figura molto definita: trapper (la parola nella bocca dei giornalisti in televisione sembra anche inadatta) violenti, magari italiani di seconda generazione, cantori della violenza e della droga, che reificano la danno, corazzati di tute e borselli, in sella ai loro motorini.
“Ogni volta che vedo un gnocca,
Fabri Fibra – Scattano Le Indagini (Turbe Giovanili, 2002)
penso come sarebbe come me lo prendesse in bocca…”
Li senti i servizi in televisione? Il titolo grida “il rap è la musica del diavolo, che incita i giovani a fantasticare sul corpo femminile come se fosse un articolo da supermercato”
Le due barre che hai appena letto sono l’incipit di “Scattano le Indagini”, la traccia che apre il primo album da solista di Fabri Fibra, “Turbe Giovanili”. Nella traccia queste due prime barre suonano ovattate nelle orecchie dello spettatore, infatti si dissolvono prima del tempo: si sente un suono, come se qualcuno si fosse appena lavato il viso. Subito dopo il beat cambia, diventa cupo, triste, minimale; la voce di Fibra riattacca, questa volta totalmente nitida per iniziare il reale brano.
L’ascoltatore è in una nuova dimensione, è nella testa di Fabri Fibra, non lo sta più guardando tra la folle di un concerto mentre incastra rime su quanto si scoperebbe la prima passante. Le luci sono spente, adesso siamo nella zona d’ombra, intrappolati tra i suoi pensieri.
Quell’incipit non è stato scritto oggi, e nemmeno ieri: quest’anno spegne 20 candeline. Nonostante ciò, l’album a cui appartiene è forse l’unico reale strumento che abbiamo per comprendere la realtà psichica della nostra generazione, al di là degli stereotipi musicali che antiche testate giornalistiche applicano sui “giovani d’oggi”.
In latino ci sono diversi modi per definire una massa di persone. Concursus indica una massa di esseri umani che si muovono verso la stessa direzione; frequentia è semplicemente una gran quantità di gente; anche moltitudo ha un significato simile nella sua neutralità. E poi c’è turba. La turba è la massa informe, disordinata, senza scopo, che occupa lo spazio, che annulla le differenze, che confonde e omologa. Da questa parola latina, deriva il verbo italiano “turbare”, nel senso di “provocare un disagio psicologico”, e il participio passato “turbato”.
Da qui il titolo dell’album “Turbe Giovanili”. Nella testa di Fabrizio Tarducci, che nel 2002 aveva appena 26 anni, c’era folla. La massa informe di dubbi, di incertezze, di ansia, quel materiale inconscio che divora le certezze di un giovane che tira le somme della prima parte della sua vita, sul baratro della vita adulta. Le Turbe dei dubbi di Fibra non ci hanno mai lasciato, sono quelle che rendono ogni giorno uguale, sono le stesse che trasformano domani in un mostro imbattibile, sono l’humus che ha generato le 18 tracce che compongono il progetto.
282. 282 punti di domanda. In un’ora di riproduzione, in 18 tracce, Fibra pone 282 domande al suo ascoltatore: sono le stesse domande che il rapper pone a sé stesso e sono la ragnatele di incertezze che delinea l’orizzonte di qualsiasi giovane di 26 anni.
Chi sono? Chi sono stato? Cosa farò domano? Avrò un lavoro? Del denaro? Mi innamorerò? Metterò su famiglia? Cosa vuole il futuro da me? Turbe Giovanali è inondato di interrogativi, spesso asfissianti:
Dove fuggi? Dove fuggi? Dove fuggi?
Fabri Fibra – Dove Fuggi? (Turbe Giovanili, 2002)
Dove vai? Come vai? Con chi vuoi? Chi vuoi?
Dove vai? Come vai? Ma che vuoi? Ma che vuoi?
L’intro di Dove Fuggi? pone questioni una dopo l’altra, senza alcun tipo di risposta. La voce di Fibra si rinfrange e si frammenta in mille volti che chiedono, chiedono, chiedono, sovrapponendosi e fino a non far capire all’ascoltatore quale sia la domanda da porsi. Così si ricrea quell’idea di saturazione cerebrale, di asfissia, di paranoia.
I dubbi bloccano e impediscono di dormire: non è un caso che Turbe Giovanili sia la notte insonne di un ragazzo di 26 anni, preda dei suoi stessi pensieri, prigioniero delle sue insoddisfazione. In Nuovi Stili D’Insonnia, la veglia è la condanna a rimaneggiare i propri pensieri, a trovare una soluzione. Nell’ora più buia le frasi si affastellano, l’una sull’altra. La logica viene meno e così nel brano le parole riempiono le orecchie, come se fossero pronunciate da infinite voci che lo circondano:
Io non so, non so, io non so, no
Fabri Fibra – Nuovi Stili D’Insonnia (Turbe Giovanili, 2002)
Io non so mai la voglia che abbiamo d’essere in forma
A volte si trasforma in nuovi stili d’insonnia
Io non so, non so, io non so, no
Io non so mai la voglia che abbiamo d’essere in forma
A volte si trasforma in nuovi stili d’insonnia
Le rime si modellano sulle sensazioni, e la lingua restituisce le turbe. Linguisticamente parlando impera, in tutto il disco il modo condizionale, regno dell’incertezza, del desiderio, dell’irrealizzato.
Fabrizio spera, ma non realizza, vorrebbe ma non raggiunge, è bloccato. Anche il suo ruolo nella società è tutto potenziale, tutto possibile: il futuro è già rimorso, anche quando non è realizzato, perché la società non guida, ma sentenzia. Chi non trova il suo posto, è abbandonato. Così in In quanti?, Fibra è voce di una generazione di derelitti:
Dicono che dimostri un velo di maturità
Fabri Fibra – In Quanti? (Turbe Giovanili, 2002)
Ogni volta che parli ed eviti banalità
Finita la scuola comincia la casualità
Quando parte il lavoro poi scoppia chi non ce la fa
C’è che vive stressato dalla sua attività
C’è chi vive una pessima sessualità
Trovo difficoltà, troppe difficoltà
Questa inettitudine compromette le relazione sociali e amorose, costringendolo a venire a patti con un disagio interiorizzato, che si autoalimenta. Il condizionale restituisce a chi ascolta accidia di una generazione, che non riesce né a procedere e nemmeno a tornare indietro neanche a livello emotivo, senza riuscire a intessere legami solidi, concreti.
Come te esemplifica al meglio l’utilizzo di un condizionale che ritorna per tutto il brano ossessivo (quasi maniacali suonano i Vorrei nel testo): l’unico momento in cui Fibra utilizza l’indicativo, il tempo della certezza, è per dire che la lei a cui parla, se ne andrà, come se ne è andato chiunque.
Vorresti fosse che giorno?
Fabri Fibra – Come Te (Turbe Giovanili, 2002)
Io so cosa non vuoi o chi vorresti che sia
Chi terresti con te per più di un giorno
E chi sta andando via se non sai con chi stai
Con chi stai andando via
Andrai comunque
Andrai come se n’è andato chiunque
La storia del progetto è arcinota. Fibra chiama Neffa, che era a Bologna, e si organizza un incontro: Neffa ha un pacchetto di basi da consegnare a Fibra. Lì ci saranno tutte le sonorità delle turbe. Neffa, che in quegli anni stava vivendo quel momento di transizione dal mondo hiphop al melodico, è l’architetto di questo notturno generazionale.
I tappeti sonori accompagnato le atmosfere del disco, ricreando un atmosfera grigia, smorta, annoiata, con beat minimali periferici: l’inverno di Senigallia. Le sonorità del disco sono ovattate, quasi come se fossero un grido nel più profondo negli oceani.
Le Turbe Giovani di Fabri Fibra rappresentarono per quegli anni una voce fuori dal coro, rispetto a un HipHop che ora usciva dai centri sociali o dalla controcultura degli Articolo 31: il singhiozzo di una generazione persa, che cerca una chiave per affrontare il futuro.
Forse noi tutti dovremmo ricominciare da lì per capirci meglio.
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