Le grandi storie vengono considerate tali anche in base alla narrazione che ne si fa. La commedia diventa divina perché qualcuno l’ha definita così, i miti attraversano i secoli perché qualcuno li ha saputi raccontare, alcuni album diventano più memorabili di altri perché sono state trovate le parole giuste da far recepire agli ascoltatori.
La narrazione di Utopia, il nuovo album di Travis Scott, dava per scontata la vittoria del rapper di Houston fin dal primo giorno, ma è andata davvero così?
La narrazione di oggi su Utopia non sarà troppo sofisticata, anche perché un disco può solo convincere o meno: se già dall’inizio sei costretto a giustificarne i difetti significa che non ha convinto quanto la narrazione ti ha spinto ad aspettarti. Travis Scott ha scelto una strada meno facile, che per questo non vuol dire sia migliore, ma è sempre quel maledetto tempo a sancire se un mito è in grado di resistergli e, perché no, a diventare realtà.
Il mito nasce da Astroworld, quando il bocciolo diventa farfalla. Quel disco di ben 5 anni fa riscuote talmente tanto successo da rendere difficile pensare di fare meglio. E’ stato il disco giusto al momento giusto, pieno di Hit (molte di queste sono esplose successivamente) che hanno avvolto la figura di Travis Scott e l’hanno reso protagonista del sentimento di gelosia che accomuna tutte le fanbase quando il proprio artista diventa di tutti.
Dopo un disco del genere si può scegliere la strada facile per proseguire su quella scia ed è così che ci immaginavamo “Utopia”; una scia composta da cose già sentite e tentativi di replicarsi, appiattendo in un certo senso la propria musica. E invece Travis Scott ha scelto di sperimentare, ripetendosi comunque allo stesso tempo: in molti hanno avvertito l’influenza dei vecchi “Owl Pharaoh” e “Rodeo” in questo progetto più che di quelli precedenti a Utopia, e ciò non può che aver fatto piacere ai fan di vecchia data. Girando per internet si può leggere spesso sull’argomento che “Utopia is for Travis fans not for people who liked Astroworld”, eccessivo a dire la verità, ma riassume a pieno il meccanismo di gelosia che in un modo o nell’altro anima queste discussioni, inutili aggiungerei. A noi è piaciuto Astroworld, ma anche Utopia.
Lo scarto di aspettativa creato da Travis è stato rispettato perché ha fatto l’unica cosa che poteva fare per stupire, ovvero non proseguire il percorso che sembrava essersi delineato dopo Astroworld e fare un passo indietro. D’altronde a volte “andare avanti è andare indietro” diceva Marracash, e in questo caso toccare il sentimento dei nostalgici è stata una mossa saggia. Ma Utopia non è solo questo.
Utopia è un disco coraggioso per molti motivi, non solo quello di prima.
In tal senso è interessante citare il concetto espresso via Twitter da Tommaso Naccari, noto autore per GQ e Rolling Stone Italia (tra le altre cose): “In tutto questo Travis Scott ha fatto quello che dovrebbero fare tutti i rapper del mondo: diventare Kanye West (o almeno provarci).” Ma tralasciando che l’influenza di Ye si possa quasi toccare con mano, ha senso per un artista popolare come Travis Scott realizzare un album di 19 tracce con molte di queste che superano i 5 minuti? Molte opinioni negative sono partite da quest’argomentazione, ed è lì che ho capito che la scelta aveva senso e come.
Travis in “Utopia” osa più di quanto si possa immaginare, mischia con equilibrio diversi generi grazie all’ausilio di alcuni samples (in questo post di Complex potrete trovarne alcuni) e non rende fastidiosa la presenza dei numerosi featuring, scelta che gli si poteva anche ritorcere contro.
Come già detto, Travis Scott si ripete ma si spinge anche oltre: nel trittico “Sirens”, “Meltdown” con Drake e “Fe!n” con Playboi Carti & Scheck Wes, il rapper di Houston rifila tre banger da club uno dietro l’altro, in pieno stile Travis e che si adattano perfettamente alle capacità degli ospiti; ma se Travis è “quello di Sicko Mode”, è anche “quello di 90210”, ed è proprio in quest’ottica che vanno visti i brani come “My Eyes” con Bon Iver & Sampha o “Telekinesis” con Future & SZA, dove quest’ultima regala una delle strofe più toccanti del 2023, ma questa è solo un’opinione.
Non potevano infatti mancare certe canzoni, l’espressione dell’altro lato artistico di Travis Scott in cui la sua voce diventa un vero e proprio strumento musicale, un po’ alla Kanye West se vogliamo.
Siamo stati abituati di recente ad avere grandi aspettative e ad essere poi puntualmente smorzati subito dopo aver schiacciato il tasto “play”. Anche nel suo non rispettare la linea che sembrava iniziata con “Astroworld”, il disco sembra avere tutto al posto giusto, compresa l’esibizione alle piramidi di Giza prima annunciata e poi cancellata. Un po’ com’è successo con l’allarme “aspettativa”: è bastato mettere in play il disco per cancellare la paura di restare deluso.
Metto le mani avanti e dico con chiarezza che ognuno può avere la sua opinione, “Utopia” non è ad oggi un classico e non è neanche il suo miglior disco, ma forse qualcuno faceva bene a dare per scontata la vittoria di Travis Scott. Il mito è diventato realtà, ma alla fine la narrazione da seguire la scegliamo noi.
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