Holden, giovanissimo artista della scena romana, rilasciante dell’intervista, ha debuttato il 26 marzo con il suo primo album, Prologo. Scritto e prodotto dall’artista stesso, quest’album è stato frutto di un lungo periodo di ricerca e sperimentazione, favorito anche dai lunghi momenti di solitudine dovuti dai vari lockdown. Rispecchiando la determinazione del personaggio scaturito dalla penna di J.D. Salinger, da cui Joseph Carta ha estrapolato il nome d’arte, Holden non si lascia trasportare dai pregiudizi e dalle tendenze, anche a costo di andare controcorrente: persegue il suo obiettivo e la sua idea di musica, appoggiandosi solamente a qualche amico fidato che possa consigliarlo e sostenerlo nel suo percorso artistico. La wave in cui Holden ha cercato di introdurci è quella del new pop, infatti Prologo non è categorizzabile in un genere ben definito, ma contiene molteplici influenze, partendo dal rap, urban, pop e perfino qualche tocco di EDM, un richiamo agli albori musicali di Holden, quando portava le sue produzioni nei club della Capitale.
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui, per conoscere qualche segreto in più sul suo album d’esordio:
Ciao! Parlaci del tuo nuovo album: Prologo.
Prologo è il mio primo album, quindi per me era molto importante arrivare a questo traguardo in una certa maniera, perché secondo me il primo album è il modo di condividere musicalmente quello che ho da dire, qual è il mio genere… È un album su cui ho lavorato molto, in quanto al suo interno sono presenti tracce che nascono all’inizio del mio percorso, nel 2018, che poi ho portato avanti negli anni. Sono 17 tracce, e per me era importante la voglia di esprimermi in maniera molto contraddittoria anche per quanto riguarda i generi, quindi è un album molto vasto sia a livello di genere che di contenuto.
Un sinonimo di Prologo potrebbe essere introduzione. Questo album è quindi per te un prologo a qualcosa di più grande? Perché hai scelto questo titolo?
Ho scelto Prologo inquanto mi sembrava molto adatto anche per il discorso che ci sono tracce che nascono più indietro nel tempo. Lo considero proprio il capitolo zero più che il primo capitolo. Sicuramente in quanto primo album è il mio inizio, il mio percorso comincia proprio da qua, e lo considero il primo passo verso le mie aspirazioni.
Hai definito il genere di Prologo come new pop. Puoi descriverci meglio cosa intendi?
È un album molto vasto a livello di produzioni, quindi sono presenti più sfaccettature di tanti generi anche diversi fra loro, con suoni un po’ particolari che non sempre vanno d’accordo. Credo però che il filo conduttore sia il new pop, in quanto per me il pop è quel genere che viene contaminato nel tempo dai piccoli sottogeneri che magari nascono e vanno di moda in un determinato momento. Credo quindi che il pop sia bello anche per questo, per il fatto che viene costantemente contaminato. Non lo definirei né un album solamente melodico, né rap, quindi credo che il termine per descriverlo nel miglior modo sia appunto new pop, che non è appunto pop tradizionale.
Qual è il messaggio principale che vuoi trasmettere con questo album?
Sicuramente il modo in cui vivo la musica, il modo in cui scrivo ed il modo in cui mi approccio ad essa; anche la scrittura è molto naturale, come valvola di sfogo. Per me è una presentazione del mio percorso e di quello che ho da dire musicalmente.
In questo album si nota la tua evoluzione in termini di scrittura rispetto alle pubblicazioni precedenti. Cosa ti ha portato a questa maturazione?
Scrivendo giorno dopo giorno, scrivo molto, produco quasi tutti i giorni, ho molti pezzi… Quindi sicuramente l’esercizio e l’allenamento. Di certo anche la quarantena mi ha aiutato, perché come tutti ho avuto del tempo che ne bene o nel male potevo utilizzare, ed ho voluto sfruttarlo nella maniera più produttiva possibile. Quindi mi sono chiuso fra quattro mura insonorizzate, ho scritto pezzi su pezzi finché ho iniziato a conoscere sempre più caratteristiche e a migliorare pian piano.
Come sono nati gli importanti featuring – Quentin40, Coez, Gemello – di questo album?
Per primo ho sentito Gemello, che aveva ascoltato il brano e gli era piaciuto molto. Per me flute., il brano in questione, con Gemello era un brano molto difficile su cui entrare, ma quando ho sentito il pezzo scritto da lui mi sono ritrovato molto in tutto ciò che aveva fatto. Come ho già detto, era un pezzo molto difficile su cui entrare, perché aveva preso un mood particolare, però credo anche che l’abbia fatta al meglio come pochi altri avrebbero fatto, quindi sono contento di com’è venuto.
Coez invece ha sentito il pezzo e dopo pochi giorni me l’ha rinviato con la parte cantata da lui, e sono rimasto ovviamente senza parole, consapevole del fatto che, essendo questo l’inizio del mio percorso, in un primo album è molto difficile avere l’appoggio di grandi artisti come loro, con cui sono fiero e soddisfatto di aver collaborato.
Con Quentin40 ci sentivamo sui social, abbiamo cominciato a parlare e la mia idea era quella di mettere in un pezzo i tre stili diversi ed emblematici, quindi il mio, quello di Coez e quello di Quentin, proprio per dare quell’effetto che secondo me ascoltando il pezzo arriva, di un brano uniforme con al suo interno tre caratteri diversi, e questa contaminazione mi è piaciuta molto.
C’è una canzone dell’album alla quale sei più legato? Se sì, perché?
È un album su cui ho lavorato molto molto tempo, quindi sicuramente non c’è una sola traccia, sono affezionato a tutte nel loro piccolo per varie ragioni, però probabilmente una a cui sono più affezionato è buio. (Outro). È uno dei brani un po’ più introspettivi e profondi, sia a livello di produzione, infatti ha delle corde molto profonde ed emotional – ad esempio la parte orchestrale – sia a livello di testo tocca degli argomenti che mi hanno messo a nudo, ho parlato delle mie sensazioni in un momento molto difficile, e credo che arrivi questa cosa. Ogni volta che la sento mi emoziono come la prima volta, e per questo è uno dei pezzi a cui tengo di più.
Il tuo album è abbastanza lungo rispetto alla media attuale. In quest’epoca così sfuggente dove la soglia dell’attenzione è molto bassa, cosa ti ha spinto a fare questa scelta?
Proprio il fatto che la soglia dell’attenzione sia così bassa in questo periodo, dove magari va più la canzone singola che l’artista, ho voluto proprio deviare il mio percorso andando nella direzione opposta, con un album bello lungo con intro e outro, per portare l’ascoltatore a prendersi un po’ più di tempo e calma per ascoltarlo.
Cosa provi quando riesci a completare una canzone, magari riascoltandoti?
È sicuramente una canzone molto difficile da descrivere, diciamo che riesco a sentire con le orecchie quello che avevo dentro e difficilmente avrei saputo comprendere. Uso molto la scrittura per guardare in faccia i miei pensieri, per metabolizzarli, e rendermene conto, quindi a primo impatto è una sensazione molto difficile da spiegare, ma riesco a sentirmi più capito quando la ascolto, ed il 90% delle volte sono soddisfatto dalle prime riproduzioni. Poi magari il giorno dopo inizio già ad abituarmi al fatto di riascoltarmi. Però è certamente una bellissima sensazione che mi fa fronteggiare e toccare con mano i miei sentimenti.
Chi è invece la prima persona a cui la fai ascoltare?
I miei amici. Quando scrivo un pezzo nuovo, che sia anche una bozza, un ritornello o una strofa, la prima cosa che faccio è mandarlo al mio manager e ai miei amici per avere i loro pareri, che sono molto importanti per me anche per capire i vari punti di vista, cosa piace o non piace.
E cosa hai provato invece quando hai visto il tuo primo album fuori su tutte le piattaforme?
Ci ho lavorato talmente tanto che in realtà me ne sono reso conto nei giorni seguenti, non a mezzanotte. Quando ho messo la storia “fuori adesso” non avevo ancora perfettamente realizzato. Giorno dopo giorno ho iniziato a capire tutto il lavoro di questi anni, mi sono sentito sicuramente fiero perché per me il primo album era un passaggio molto importante: è il modo che hai di comunicare cosa hai da dire musicalmente a chi ti ascolta, quindi sono davvero molto contento, soprattutto di essere stato accompagnato in questo percorso da artisti come Coez, Quentin40 e Gemello.
Cosa ti aspetti dal futuro?
Punto molto in alto, quasi all’irraggiungibile, quindi ambisco a grandi risultati. Ma l’importante per me è riuscire a fare la mia musica: sono una persona molto ambiziosa quindi spero che l’album vada bene, ma sono anche consapevole di aver fatto del mio meglio e di essermi impegnato, quindi comunque vada sono molto contento del risultato. Spero che la musica piaccia e spero di essere riuscito a comunicare a chi ascolta quelle che sono le mie sensazioni nel momento in cui scrivo.
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Intervista di Paola Paniccia
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