Venerdì 2 Giugno 2023 ci ritrovammo per le mani “La Divina Commedia” di Tedua e dare un parere è stato veramente difficile. Un po’ per il nome che porta questa pagina, un po’ per la deformazione personale dovuta ai miei studi, un po’ perché sparare una sentenza dopo pochi ascolti è irrispettoso nei confronti dell’artista, un po’ perché, per il clamore che ruotava intorno al progetto, il 2023 sarà e rimarrà marchiato per questa uscita.
Sicuramente, le vie più semplici da percorrere sarebbero state quella degli “apocalittici”, ripudiatori dei prodotti massificati, o quella degli “integrati” ottimisti– tanto per citare Simone che ha citato Umberto Eco-. Più complicato invece è stato provare a capire cosa il rapper genovese abbia voluto presentarci e poi tirare le nostre singolari riflessioni di puro gusto.
“La Divina Commedia” di Tedua va contestualizzata. Perché la scelta di un concept?
Come qualsiasi disco che esce, anche questo è prima figlio del mondo dello streaming poi di una gestazione durata cinque anni. Considerare il disco come una lunga playlist tenuta in piedi da un concept non completamente sviluppato non è errato, ma è incompleto.
È il 9 novembre 2018 quando Salmo con “Playlist” formalizza la tendenza sotto gli occhi – o meglio, nelle orecchie – di tutti: i dischi, non appena diventano anche di proprietà di chi ascolta, sono dei muri di costruzioni Lego destrutturabili e riorganizzabili in playlist orientate da istanze dettate dal fruitore. La critica indiretta è: si riesce ancora a dire qualcosa organicamente? 356 giorni dopo, il 31 ottobre 2019, Marracash risponde di sì: i dischi-playlist possono dire ancora qualcosa organicamente, anzi le canzoni di questi sono dei veri e propri organi. Il rapper di Barona pubblica “Persona”, un disco-playlist, ma tenuto in piedi da un concept. Questo breve lasso di tempo ha geneticamente modificato l’industria e, con sé, la scena italiana tanto nella produzione quanto nella ricezione di un album.
Da una parte abbiamo capito che il concept album, con tutti i mutamenti, si può fare ancora, dall’altra che se il disco-playlist si ammanta di un concept, questo ha più probabilità di essere ascoltato con un briciolo di attenzione in più, sbloccando la potenzialità di sottrarsi dalla cascata continua di pubblicazione. Il prodotto concept, chiacchierato, concorre anche ad ottenere il magico fattore “memorabilità” che tanto si cerca. Perché? Perché ti sprona a trovare un collegamento con quello proposto dall’artista. Senti, ascolti, colleghi. Lo sforzo cognitivo è leggermente maggiore, brucia delle energie psicologiche che lasciano spazio ai mattoncini mnemonici componenti le sezioni del ricordo.
L’album playlist con il concept può soddisfare chi ricerca qualcosa di apparentemente più sofisticato ma anche chi vuole liberamente estrarre le canzoni dal corpus per poter comporsi la propria playlist. La riuscita mediatica di un concept album (playlist, è sempre sottinteso) però, come ci ha insegnato Marra, forgia anche uno status ed è forse questo il grado finale di rapper street ma filo-intellettuale riconosciuto che Tedua ricerca con l’ultima parte del progetto, quella annunciata nell’Outro.
Il pubblico di Marra – me in primis, al tempo – ha creduto che il concept fosse stato più o meno rispettato, ma a quello di Tedua risulta lo stesso?
Tedua ha rispettato il concept de “La Divina Commedia”?
5 anni di attesa da “Mowgli”. Un freestyle ad inizio 2020 e nello stesso anno “Vita Vera Mixtape” che si rifà alla prima opera di Dante (Vita Nova) e che, tramite il sottotitolo “Aspettando la Divina Commedia”, annuncia il prossimo disco ufficiale. L’artista nel disco ci dice che è stato in silenzio, ma non è stato proprio così: un mush up “Don’t Panic” con abbozzati i temi dell’album ufficiale (forse dei brani incompleti e insoddisfacenti che dovevano entrare nell’album?), non sono mancati sproloqui sui social e affermazioni sul disco in arrivo.
Sicuramente l’artista ha creato tanta curiosità, ma allo stesso tempo ha chiamato alle armi i suoi detrattori pronti ad aspettarsi un disco tripartito, fatto di gironi, ospiti dannati e pene.
Ma sinceramente, volevamo un’opera iperletteraria da Tedua?
Se ancora oggi molti critici del settore che si sono dedicati per una vita all’autore del 300 non riescono ad arrivare completamente a capo dell’opera magna di Dante, noi – con tutto il rispetto di questo mondo – non credo pretendessimo da Tedua una rilettura sofisticata.
Il disco infatti appare come una reinterpretazione dell’opera dantesca completamente rielaborata dalla soggettività dei suoi avvenimenti.
Sì, probabilmente nei precedenti episodi quali “Orange County” e “Mowgli”, la rete di riferimenti era organizzata “a maglie larghe” e non appesantiva chi ascoltava, ma lì c’era anche una minore quantità di materiale elaborabile rispetto a questo caso. Il concept non pienamente centrato forse però infastidisce più lo studioso o l’ascoltatore disabituato a sventare i dischi rispetto a chi fruisce destrutturando, soprattutto se consideriamo gli ottimi risultati in termini di numeri (tutti i brani in top 50 Italia nel giorno successivo alla pubblicazione); non è un caso se brani come “Bagagli (improvvisazione)”, “Lo Fi For U” o la stessa Outro sono collocati proprio alla fine quasi come premio, dove l’ascoltatore più distratto non arriva.
Per poter comprendere e apprezzare il disco però è importante non sovrapporre le nostre categorie di pensiero a quelle dell’artista esigendo una completa congruenza. La nostra idea di Divina Commedia, costruita da quello che abbiamo appreso nei luoghi istituzionali e non, si frappone tra quello che vorremo ascoltare e quello che Tedua vorrebbe comunicarci.
Se si vuole quindi parlare esclusivamente di musica, si deve andare a stanare il bello del disco sotto le ombre di un concept ingombrante. Nonostante i compromessi contrattuali, il capitale umano ed emozionale racchiuso nei brani che ci ha fatto innamorare di Tedua c’è e pulsa, bisogna solo compiere lo sforzo sisifeo di far rotolare giù dal monte il pesante scoglio dell’hype e del concept, pur consci che di questo grande masso, probabilmente, non ce ne libereremo perché è stato l’autore stesso ad obbligarci a riportarlo in cima al monte ogni volta.
Ma se ascoltiamo la musica e basta, La Divina Commedia mantiene una grande forza comunicativa.
Quello che il rapper utilizza è la semantica della Divina Commedia, come anche Francesco già detto in un post. Frasi, luoghi, personaggi, versi, ammiccati o evidentemente chiamati in causa per costruire uno scenario in cui ha raccontato la parabola più archetipica dell’Hip Hop: la risalita dal basso (l’Inferno), compiuta anche dal personaggio Dante, il classico “start from the bottom” che attraversa un purgatorio di incomprensioni transitorie, transeunti, e lo prepara al lancio nella stratosfera del paradiso artistico, l’Empireo – citato da Kid Yugi nella maestosa strofa gonfia di riferimenti danteschi– o nell’ultima parte di questo progetto (il famoso terzo disco della consacrazione o una deluxe dato che ora vanno così di moda?).
Il tema della donna angelo, ad esempio, è uno dei topos dell’opera dantesca che nel disco viene meglio rielaborato. Tedua si mette in continuo dialogo (la seconda persona singolare rivolta ad una donna è molto presente) con le figure femminili che aleggiano nei brani. Queste identità eteree spingono l’artista ad un miglioramento, lo incoraggiano ad ammettere i suoi errori per poter compiere il “viaggio verso la consapevolezza” in cui ammette le sue debolezze e affronta le sue paure, passate e presenti, davanti a tutti. Impressionanti sono la sincerità e la potenza narrativa nel brano “Outro Purgatorio”, traccia conclusiva incredibilmente eloquente che dimostra e quasi sublima quanto detto.
Ciò che però va evidenziato è che la risalita dal basso si spoglia un po’ del suo proverbiale machismo e si caratterizza di una debolezza scenica ma mimeticamente reale. Tedua si mostra sofferente sulla traccia, parla delle sue difficoltà dovute ai traumi familiari, al complesso riadattamento che cerca di fare nella vita di società – di cui parlava su “Aspettando Orange County”- sentendosi sempre fuori luogo (“Scala Di Milano”), senza tralasciare la difficoltà di adempiere alle aspettative del pubblico, di sé stesso, della major e dei suoi colleghi.
Lo storytelling è stato sempre un punto forte per Tedua, ma in questo disco, mischiandosi al flusso di coscienza, riesce ad avere una forma rinnovata. Le tracce che mettono più in luce la sua crescita espositiva, che questa volta si caratterizza per l’assenza di verbosità, sono “Malamente”, “Lo Fi For U” e “Bagagli (Improvvisazione)” – in cui ci conferma anche che il disco lo ha riscritto da capo più volte -. In queste tracce l’attitudine teatrale dell’artista fa emergere l’io persona in grado di dialogare con l’io artista, regalando delle autentiche confessioni quasi slegate dalla logica della spettacolarizzazione emotiva e più vicine ad una confidenza amicale. Queste attitudini erano già state mostrate ne “La Lavatrice” o nell’Outro di Orange County, ma qui le troviamo in una forma più asciutta, matura e decisa.
I grovigli di parole a cui Tedua ci aveva abituato vengono districati dai diversi autori che hanno accompagnato Tedua nella scrittura (Jacopo Et, Raige, Ghali nelle vesti di ghostwriter, Valerio Bulla, Toumas Holopainene) e dai 12 featuring che hanno saputo mantenere attaccato al brano la sua forte personalità esplosiva. In questo disco si scopre inoltre una nuova inclinazione autoriale, di stampo prevalentemente pop e diretta conseguenza di “Vertigini”, in grado di esprimersi tramite le atmosfere sonore (es. “Red Light”, “Malamente”, “Soffierà”) funzionali a suggerire dei concetti sì espressi a parole ma reticenti e inafferrabili tramite la comunicazione esclusivamente verbale. Anche dal punto di vista musicale, siamo chiaramente davanti al progetto più ambiziosamente curato di tutta la sua carriera.
Il valore del disco e il suo concreto impatto li capiremo solo a progetto completo, con l’uscita del capitolo finale del Paradiso, ma ciò che si può dire ora con certezza è che il nome del progetto, molto più impegnativo del disco stesso, ha concentrato un’attenzione mediatica spaventosa su Tedua. Un sensazionalismo oppositivo molto ingombrante, che va da chi grida al Premio Strega e chi alla grande delusione, crea una coltre talmente fitta da disorientare il giudizio. L’essere divisivi può essere una prerogativa dell’arte, ma l’accurata gestione di questo grande addensamento di fronti opposti è sicuramente uno step successivo che certificherebbe davvero l’arrivo ad una matura consapevolezza.
Ma perché spostare le aspettative sempre sul prossimo lavoro? Perché prima La Divina Commedia e ora Il Paradiso? Per chi ascolta, è sano vivere sempre nella trepidante attesa di un lavoro migliore che deve ancora uscire? Non si innesca un circolo infinito di hype lesivo?
Parlando concretamente, forse un titolo più umano e meno altisonante sarebbe stato decisamente più adeguato, ma forse non si sarebbero nemmeno creati i presupposti per tentare la creazione di uno status sopra la media.
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