Caro Fabrizio,
Colgo quest’occasione per sperimentare un nuovo formato di scrittura, che si discosta dai nostri soliti articoli o recensioni. In questo caso voglio scrivere in maniera diretta, aprire una sorta di dialogo, o comunque parlare direttamente a te, per farti notare dove, secondo noi, hai sbagliato.
Di certo è che, essendo umani, nessuno di noi è esente da errori e spero che tu, in quanto persona estremamente intelligente dal mio punto di vista, accetterai le critiche che stiamo per muoverti.
Alcuni giorni fa, da tuo fan di lunga data, notando la pubblicazione del nuovo episodio del podcast “Passa dal BSMT” di Gianluca Gazzoli che ti vede come ospite, ho subito sentito un moto di curiosità e interesse che mi ha spinto ad ascoltarlo immediatamente.
Puntata molto interessante in cui è stata fatta una panoramica della scena rap dai suoi albori fino ad oggi, e in cui sono stati toccati molti punti legati al contorno che l’esplosione del genere ha generato.
In particolare, intorno all’ora, è stato toccato un punto che a noi, in quanto web magazine – se così proprio vogliamo definirci – è particolarmente caro, ovvero quello che riguarda il nostro mondo fatto di pagine Instagram, riviste e tutto il “giornalismo” effettivo o amatoriale che si è generato intorno al rap italiano negli ultimi anni.
L’aspetto che ci ha spinto a valutare di scrivere questa lettera/articolo è stato il pressapochismo e la banalità con cui Fabri Fibra si è approcciato a questo discorso, soprattutto nel momento in cui una figura del suo calibro dispone di un bacino di rilevanza ampio come pochi altri colleghi, quando viene interpellato al di fuori della musica.
Quello che è stato fatto, anzi, quello che è stato detto è estremamente inappropriato: generalizzare è l’errore più grave che si possa fare, specialmente quando si parla di mezzi di comunicazioni e di critica.
Una delle accuse lanciate è che i magazine online non parlino effettivamente di musica o che non valorizzino gli artisti, soffermandosi su questioni futili: gossip, meme o contenuti di sempre più rapida fruizione senza capo né coda, che hanno il semplice scopo di acchiappare likes per lucrare sulle spalle degli artisti coinvolti negli articoli.
Esistono anche realtà alternative che questo tipo di topic non ha mai scelto di trattarlo, preferendo sempre provare a portare uno spunto di riflessione per spronare i propri lettori a sviluppare un senso critico che gli permetta di andare più in profondità e di non fermarsi al semplice ascolto passivo. Tra l’altro, la missione che Rapteratura si è sempre imposta.
Sentirsi paragonati a questa fascia di pagine dai contenuti più leggeri è un vero e proprio sminuimento del lavoro che facciamo e dell’idea che cerchiamo di portare, noi come tanti altri colleghi (ad esempio Boh Magazine, che ha mosso critiche simili alle nostre pochi giorni fa).
Una delle critiche mosse dal rapper di Senigallia è quella secondo cui la critica musicale dev’essere ad uso esclusivo degli addetti ai lavori, escludendo quindi tutti quei fruitori di musica che compongono il pubblico.
Nel momento in cui la musica è, per definizione, un’arte quasi interamente soggettiva, è folle pensare che coloro a cui il prodotto è destinato non abbiano diritto di giudizio. Nascere su Instagram ed utilizzarlo come mezzo di comunicazione non è una condanna, ma una semplice strumento per rendere il contenuto e la discussione che esso genera accessibile a tutti.
Prendere come esempio le pagine più grandi e pensare che i loro contenuti più leggeri facciano scattare un atteggiamento di emulazione dalle realtà più piccole è assolutamente errato.
Ogni magazine è libero di produrre i propri contenuti autonomamente e nel modo che ritiene più appropriato e, soprattutto, ognuno è libero di rivolgersi al segmento di pubblico a cui si sente più affine.
È giusto segmentare la propria “clientela”, ed in questo non c’è nulla di male, proprio perché molte persone preferiscono il contenuto più rapido e diretto rispetto ad un altro che sia più lungo e ragionato. Un contenuto non esclude l’altro, semplicemente da sempre, nel settore del giornalismo/editoria, ci sono realtà diverse che lavorano per pubblici e audience diversi.
“Novella 2000”, ad esempio, è una rivista che esiste da tempo ormai immemore e che ha sempre parlato esclusivamente di gossip, con un suo pubblico che però non esclude la presenza di riviste più tecniche e settoriali, come può essere “Aelle” tanti anni orsono o, in tempi più recenti “Billboard Italia”.
Tematica molto discussa nell’ultimo periodo e, giustamente, sottolineata anche da Fibra, è quella della frenesia dell’industria musicale e la famosa “corsa ai numeri” di cui la scena soffre ormai da un paio d’anni.
È corretto coinvolgere in questo meccanismo anche le riviste? Noi che spesso abbiamo sottolineato come questo processo sia deleterio per la qualità dei prodotti?
Naturalmente la definizione di industria stessa presuppone una necessità di guadagno, e di conseguenza, anche delle strategie promozionali volte ad incrementare quanto più possibile il fatturato di chi finanzia la musica. Ma non necessariamente chi non è coinvolto nel processo di monetizzazione della musica lavora esclusivamente a scopi di lucro, monetario o di fama sul fama sul web indistintamente.
Detto ciò, nel momento in cui noi (e molti altri) si impegnano per portare contenuti quanto più approfonditi e impegnati possibili per poi venire snobbati dai grandi nomi limitandone la crescita e la diffusione, a favore dei soliti dal contenuto più fruibile e malleabile dall’industria stessa, la cosa non può far piacere, ed essere coinvolti in discorsi di questo tipo ancora meno.
È sotto gli occhi di tutti che tra alcune pagine e alcuni artisti ci sia un legame di promozione rispettiva pressochè indissolubile, a sfavore di realtà più piccole ed indipendenti.E se, citando proprio te caro Fabrizio, “il peso delle parole dipende da chi le dice”, siamo sicuri che un discorso del genere abbia avuto senso?
L’articolo è stato scritto in collaborazione con Matteo Maiuri.
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