Era il 2011. Conobbi meglio i Club Dogo durante uno spostamento in autobus, grazie ad un ragazzo mio coetaneo di nome Paolo. Oggi potrei giustificare il mio interesse al gruppo adducendo motivazioni metafisiche, ciò che posso dire è che mi piacquero e basta.
Negli anni successivi, causa anche il catalogo musicale ristretto contenibile dai primi iPod -qualche GB al massimo – e le prime rudi esperienze, i loro brani iniziarono ad acquisire senso. Tutto ad un tratto, sbloccai il significato di alcune barre e, di conseguenza, iniziai a comprendere le prime logiche dei motorini truccati (pur non avendone uno), del mondo della notte e dei club che iniziai timidamente a frequentare in giovanissima età.
Ascoltai “Che Bello Essere Noi” con un moderato distacco, seguii più da vicino il lancio di “Noi Siamo Il Club” e, aspettando ansiosamente “Non Siamo Più Quelli Di Mi Fist“, iniziai un viaggio a ritroso nella loro discografia scaricando quanto più potevo da Marapcanà.
In quei 3 anni, tutta l’estetica zarra goffamente espressa a metà, che aveva trovato campo fertile anche nei paesini di provincia più remoti come il mio, aspettava solamente d’esplodere con l’ennesima hit dei Dogo da suonare in qualche aperitivo sui lidi estivi, accompagnata da marsupio messo a tracolla, occhiali Carrera e una Belvedere divisa in dieci pur di aderire al loro status.
Sembra solo un passato remoto, eppure come rispose Niccolò Contessa in un’intervista per VICE, se vuoi far capire com’era l’Italia del 2013 – più in generale degli anni 10, aggiungerei – fai ascoltare i Club Dogo.
“Non Siamo Più Quelli di Mi Fist“, infatti, non rappresentava più l’Italia tutta, ma soprattutto Guè, Jake e Don Joe del 2014 che a 11 anni dal loro primo disco riflettono sul successo e fanno i conti con i fantasmi del loro passato (come dice anche il nome dell’album e come dimostra la copertina, più cupa delle precedenti). Forse anche per questo il disco, al netto di un ottimo successo commerciale, non ha trovato poi così spazio nel cuore degli ascoltatori.
I Club Dogo, in 11 anni di carriera insieme, avevano percorso un viaggio – tutt’altro che lineare – la cui meta coincideva esattamente con il raggiungimento dello scopo che portano nel nome: portare nel Club i Dogo. Mi Fist e Penna Capitale erano moti di protesta; Vile Denaro la denuncia di un’Italia sempre più malsanamente milanocentrica; Dogograzia la propaganda di uno statement popolare sostenuto da una folla agguerrita; Che Bello Essere Noi l’affermazione di uno stile che allunga i tentacoli anche nel mondo mainstream; “Noi Siamo Il Club” segna il checkpoint e il raggiungimento dello scopo. I Dogo firmano partnership con brand famosi, sono nelle classifiche, in TV, ce l’hanno abbondantemente fatta.
Per rispondere all’articolo di Matteo: che prezzo che hanno pagato? All’inizio uno scontro con il pensiero filo-berlusconiano, poi il contrasto generazionale per nulla pacato con la vecchia scuola delle Posse (Guè, in Fast Life Vol. 2, con “Middle Finger” dissò Militant A degli Assalti Frontali perché tacciava i Dogo di essere dei corruttori dei giovani e di fare rime fasciste), il graduale abbondono-non abbandono dei temi sociali, le incomprensioni con i fan, i compromessi con il mercato.
Alla fine i Cani Sciolti, i Dogo, giunti al 2014, sono entrati nel club facendo comprendere a muso duro che la musica rap non è solo protesta, ma anche riscatto sociale tradotto in feste e divertimento di chi prima alle feste non poteva prendere parte.
Il trio di Milano ha restituito al rap italiano una prerogativa basilare, ma allo stesso tempo, un ampio pubblico quasi ignaro delle istanze culturali non riusciva a comprendere che il divertimento dei Dogo, nel nostro contesto, poteva essere protesta.
“Non Siamo Più Quelli Di Mi Fist” doveva essere un po’ la summa di quanto detto fino a qui: le chitarre di Lele Sperticato in Sayonara richiamanti Noi Siamo il Club, la base raggae di Start it over che richiama le prime influenze di Mi Fist, l’italianissimo campionamento di Un cuore con le ali di Ramazzotti in Weekend, il campionamento di Overdose (d’amore) di Zucchero in Sai zio, Lisa l’erede spirituale di All’Ultimo Respiro con il campione di “Lisa dagli occhi blu”, la hit spacca-classifiche con Arisa (Fragili).
Un disco con forti ambizioni a stelle a strisce, realizzato tra Los Angeles e Toronto che sono anche le location di alcuni dei loro video ufficiali curati al dettaglio. Un po’ Armstrong che ritorna sulla luna: dei rapper italiani che vanno a fare il rap in America per vedere come si fa.
Un disco che, con questo nome nato per sfottere chi dava loro dei venduti, si carica un peso sulle spalle – quello che abbiamo provato a raccontare qui – che loro stessi conoscevano. Le strofe di Gué e Jake in “10 Anni Fa” ce lo dimostrano proprio:
Guè
Dieci anni fa ho fatto vedere a tutti come fare rap
Ne è passato di flow sotto i ponti e oggi
Voglio fare vedere a tutti come fare i soldi
Mio padre è lì che sorride, se mi vede sul giornale
Spacco queste serate, sette persone a cui do da mangiare
E dici: “Sono solo soldi e puttane”, capito male, legge del cane
Vuoi fare la star? Frà, devi sudare oppure le stelle ti stanno a guardare
R-i-s-p-e-la coppia di t-o
Sto avanti, ti leggo i pensieri, tu sei nato ieri e mi parli di Hip-Hop
Da quindici anni nel business, tu sei solamente un mio spermatozoo
[..]
Quando ho iniziato volevo soltanto delle sneaker nuove
Son diventato più caldo del sole, Rolex e droghe e più supermodel nuove[…]
Jake La Furia
Dieci anni fa ho fatto jam, breakdance e l’aerosol art
E adesso che sono un nemico per questi b-boy
Allora vaffanculo e pagami, insert coin
Mio padre è lì che sorride, mi vede spaccare ‘sti break
Prima per tutti ero solo suo figlio, oggi è lui che è il padre di Jake
Dieci anni fa avevo soltanto parole e coglioni
Zero visualizzazioni, zero milioni, un grammo e zero padroni
Primi in classifica, prime posizioni su iTunes, sold out ai tour, eppure qualcosa non andava più. Una nuova scena nascente che spingeva verso altre direzioni – come testimoniava Genesi (2013), il primo album di Roccia Music, su cui due parole dovremmo proprio spenderle -, gli attriti interni mai risolti dopo tanti anni fianco a fianco, il bisogno di respirare autonomamente e, forse, fare di testa propria, da solisti.
Quanto dice Guè in Start It Over, riletto e riascoltato oggi ha tutto più senso
Aeroporto di Zurigo con un peso sullo stomaco
Club Dogo – Start It Over (Non Siamo Più Quelli Di Mi Fist, 2014)
Come portassi un chilo, vorrei voltare pagina
Anzi bruciare il libro, ogni fine è un nuovo inizio
Un’ultima comparsata insipida in Old Skull, ne “Il Bello D’Esser Brutti di J-Ax, e l’ultimo brano, in Ora o Mai Più (Status Symbol), accolto tiepidamente all’inizio e rivalutato dopo, come l’acqua che sa di borraccia lasciata al sole quando hai sete e da bere hai solamente quella.
Come ci ha fatto notare anche un nostro lettore, una volta che i ruolo storico dei Dogo è stato compiuto cosa potrebbe succedere con un loro imminente ritorno? Daranno vita ad una controrivoluzione e riportarenno il rap in strada, dove è nato?
Certo che chiederselo 10 anni dopo, ad un giorno prima del nuovo disco post-reunion fa un certo effetto.
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