Dopo tre dischi che nel tempo sono stati riconosciuti come classici del genere, nel 2009 i Club Dogo pubblicano Dogocrazia, inaugurando il sodalizio con Universal Music, destinato a durare fino a Non siamo più quelli di Mi Fist; d’altronde, la prima strofa dell’album recita «ho finito tutti i soldi devo fare un altro disco», a dimostrazione che il “vile denaro” raccolto con la precedente major probabilmente non ha saziato la fame del gruppo. Ed è così che Jake La Furia, Guè Pequeno e Don Joe impongono con prepotenza lo stato di Dogocrazia; la copertina a mo’ di manifesto di propaganda, con il titolo in un simil-cirillico per riprendere l’estetica sovietica, non potrebbe essere più calzante.
Questo disco, genealogicamente collocato fra il “tradimento” dell’underground in nome del Vile Denaro e la consacrazione mainstream di chi è fiero di dire Che è bello essere noi, si configura come un tassello necessario all’evoluzione stilistica dei tre autori: se vi sono delle aperture melodiche (con quell’autotune che ai tempi marchiava gli artisti come “commerciali”, secondo non so quale caposaldo di presunte teste hiphop che hanno fatto disinformazione per decenni) in brani come Richiamami Domani o Amore Infame, i toni rimangono estremamente crudi; al centro dell’album vi sono i soldi, l’esaltazione per i primi successi, le droghe, spesso associate e sovrapposte al concetto stesso di rap, ad esempio nel brano introduttivo chiamato proprio Droga Rap o in Tanta Roba, pezzo che ha ispirato il titolo della storica label di Guè e Dj Harsh.
Nel disco queste tematiche convivono con il topos della rivalsa, di chi, parafrasando il ritornello di Meglio che morto, per farcela ha dovuto prendersi il posto con i pugni.
«Grazie a Dio ce l’ho fatta anch’io
Club Dogo – Meglio Che Morto (Dogocrazia, 2009)
L’ho preso con i pugni, ma adesso questo posto è mio
Col fiato corto, il naso storto, i segni sul corpo
Ma è meglio così, meglio che morto».
È interessante analizzare la narrazione del materialismo e del controverso rapporto con i soldi: se da una parte sono descritti come una ragione di vita, dall’altra è condannato più volte l’atteggiamento di chi non ha obiettivi o passioni all’infuori di questi.
«Scuoto la strada finché non avrà parlato
Club Dogo – Né Fama, né Soldi (Dogocrazia, 2009)
Un altro tiro inspirato, ispirato anche se disperato
Per tutti i soldi del mondo non cambierei
Tanto sono carta, brucia e se ne va in un secondo
Conta quel che sei, quel che sono l’ho fatto da solo
Non essere geloso del prezioso che mi vedi al collo
Canto quello che gli altri non vendono, non vedono
Tossici in ginocchio valgono il cash che devono».
Guè, Né fama né soldi, 2009.
Ma, del resto, il rap si porta appresso questa contraddizione strutturale fin dalle origini e i Dogo sono tra i primi in Italia ad averla raccontata in maniera tanto strafottente quanto sincera, presentandoci senza troppi fronzoli come gira il loro mondo e quali sono le loro regole.
In quanto a featuring, Dogocrazia è l’album più variegato del trio.
Difatti, abbiamo i membri della Dogo Gang Marracash, Vincenzo da Via Anfossi e Karkadan, J-AX, dichiarato punto di riferimento per il gruppo, ma anche Terron Fabio dei Sud Sound System, icona del raggamuffin nostrano, e, ad anticipare l’apertura esterofila della scena rap italiana, ben tre collaborazioni a stelle e strisce: il leggendario Kool G Rap in Gunz From Italy, Ty Nitty e Twin Gambino del collettivo Infamous Mobb in Infamous Gang. Se si prende in considerazione anche la bonus track Sgrilla All Star Remix, entrano in gioco anche Noyz Narcos, Nex Cassel e Vacca.
«Magari non lo faccio un disco d’oro ma faccio un disco di fuoco», sentenziava Jake La Furia in Brucia Ancora, brano a cui, tra l’altro, attribuisco la responsabilità di avermi fatto appassionare al rap: tirando qualche somma adesso, non solo il disco ha raggiunto quella certificazione (allora neanche sognata), ma, a distanza di quasi quindici anni, per quanto alcune produzioni figlie di quell’epoca possano suonare attempate, risulta incredibilmente avanti rispetto alla scena rap italiana del periodo, a riprova che evidentemente il significato di “Dogocrazia” non si esauriva nel titolo dell’album.
Forse, a giudicare dai più di centomila biglietti esauriti in poche ore per i concerti del 2024 al Forum di Assago, qualcosa brucia ancora oggi.
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