Abbiamo avuto l’occasione di intervistare Claver Gold per la sua nuova uscita “Questo non è un cane/Domo”.
Claver Gold è sempre più cosciente del suo ruolo all’interno della scena, dimostrando di poter andare fuori dalle logiche di mercato, seguendo invece quelle dell’amore. Chiaro, non l’amore di “Uomini e Donne”, ma quello di “Questo non è un cane” dove il cane è il simbolo per eccellenza dell’amore incondizionato.
In questa nuova riedizione del progetto sembra che questo modo di rapportarsi all’altro, senza pretendere nulla in cambio, possa diventare una modalità in cui farsi strada nel mercato musicale, cercando di ridare linfa vitale a prodotti che vengono oscurati dall’obsolescenza del mercato.
L’amore incondizionato di “Questo non è un cane/Domo” si manifesta in varie forme. Dalle collaborazioni, nate dalla stima reciproca fra gli artisti, all’idea di utilizzare un album come occasione per far proliferare e rinforzare l’underground.
È bello vedere collaborare artisti underground di generazioni diverse tra loro, anzi, “Domo” sembra essere pensato per creare un terreno fertile agli artisti che partecipano. Una riedizione che crea l’occasione per far nascere ispirazioni e collaborazioni inedite tra artisti che magari si conoscono per la prima volta su questo album.
In sintesi “Questo non è un cane/Domo” è una manifestazione di amore per la cultura Hip Hop, nelle sue sfumature più umane e meno industriali. Amore che porta Claver a porsi come anello di congiunzione tra avanguardia artistica e sottocultura. In proposito, Claver non ha esitazioni nel dire che sta cercando di decostruire i canoni della canzone rap dall’interno. Il suo rap è fatto di contenuti, storie, concetti che vanno in direzione contraria e ostinata all’industria del vuoto culturale, fatto di macchine, soldi e lusso.
“Questo non è un cane/Domo” è un gesto d’amore per una scena che sembra non avere il tempo di amare la propria cultura.
Come mai hai deciso di ripubblicare “Questo non è un cane”, aggiungendoci nuove collaborazioni?
CG: L’idea mi è venuta quando ho sentito l’esigenza di voler ancora dare vita a questo disco. Perché penso che dischi come questo e di altri miei colleghi, intendo dischi che hanno bisogno di un tempo di creazione, di un lungo tempo di gestazione siano in questo momento fuori mercato. Perché la musica va veloce, il mercato è rapido e i dischi durano una settimana, un mese.
Quindi ho sentito l’esigenza di dare nuova vita a questo disco, a questo percorso, arricchendolo con nuovi featuring di colleghi che sentivo potessero far parte del mio viaggio e quindi era un modo per dare longevità al disco.
Il tuo disco si basa su un concetto di amore ben preciso che esprimi attraverso l’immagine del cane, che per te il cane rappresenta un amore incondizionato. Questa riedizione è fatta con l’intenzione di continuare ad estendere questa idea, questo amore incondizionato per questo tipo di musica e questa cultura? Gli artisti con cui collabori sembrano tutti scelti in base ad un principio di reciproca stima. Dimmi se mi sbaglio, ma mi sembra che questo amore sia un modo alternativo di stare nel mercato musicale, in cui non si seguono le logiche da business plan.
CG: Noi abbiamo sempre ben chiaro il percorso che ci guida, che ci ha guidato e che faremo. Quindi siamo sempre molto radicati all’Hip Hop, alla cultura di aggregazione, al modo di fare Hip Hop inteso come divulgazione di un pensiero comune.
Quindi questi ragazzi che sono all’interno del progetto credo facciano parte tutti dello stesso branco, dello stesso pensiero e quindi dello stesso modo di interpretare questa cultura che chiamiamo Hip Hop. Per questo mi faceva piacere averli in questo progetto, e credo che nel loro insieme rappresentino un senso di appartenenza, di famiglia. Sicuramente fare gruppo in questo modo, rende il sottobosco e l’HH underground più forte secondo me.
Come sono nate le collaborazioni di questa nuova edizione di Questo non è un cane?
CG: Nella prima edizione ha rappato soltanto File Toy che è un mio grande amico, con cui ho fatto un percorso molto lungo di amicizia e artistico che è ventennale; quindi, mi faceva piacere avere soltanto un grande amico che rappasse all’interno del disco, e poi tutte le altre collaborazioni erano solo ritornelli, quindi per arricchire il brano e continuare un rapporto di stima reciproca che c’era con Dadive Shorty, Tormento ecc.
Invece qui ho voluto fare un lavoro diverso, ovvero chiamare quelli che fanno parte di questo percorso e fargli suonare la loro campana. Creare questo senso di aggregazione, creare un misto tra giovani tra vecchi, tra mediani come me, tra diverse generazioni d’Hip hop che, secondo me, possono poi creare altri collegamenti esterni.
Come chiamare Ugo Crepa e Dutch, che magari non si conoscono, uno piace all’altro e poi da lì nasce una collaborazione. Si tratta di un modo per rendere il terreno fertile per un nuovo percorso per ognuno di noi e un modo di arricchire un progetto e raccontare la stessa storia, ma con voci differenti.
Mentre per quanto riguarda le parti scritte da te, hai cambiato qualcosa oppure sono rimaste uguali?
Le mie strofe su quasi tutti i brani sono le stesse e in più, in ognuna c’è l’aggiunta di un nuovo featuring. Quindi la mia prima strofa è sempre la stessa, e a tutte si aggiungono nuovi featuring. Poi ci sono pezzi dove ho riscritto le strofe e alcuni, tipo Rainbow dove è stata completamente cambiata la strumentale, ed è uscito fuori un pezzo totalmente nuovo.
Visto, che hai parlato di sottobosco e di HH underground, come la vedi questa divisione tra underground e mainstream in generale? Te lo chiedo perchè Questo non è un cane è un album che potrebbe essere definito overground, e visto che te sei in questa posizione volevo sapere cosa pensi del separé tra la scena underground e quella mainstream è costretto a rimanere tale? Tu, insomma come la vedi questa scena, anche rispetto al passato? C’era meno collaborazione oppure è oggi, che ce n’è meno? Secondo te ci sono dei motivi?
CG: Io credo che negli anni 90′ e primi 2000 c’erano due scene ben distinte, che comunque si odiavano tra di loro, anche facendo magari più o meno lo stesso tipo di musica. Adesso, secondo me l’underground e il mainstream hanno all’interno una stratificazione molto più ampia, a livello sonoro, a livello di personaggi e di interpretazione, quindi credo che i passaggi siano molto difficili.
Dal mio punto di vista, che mi trovo un po’ nel mezzo, sono lì nel mezzo e magari riesco a vedere sia da un lato del muro che dall’altro lato del muro. Ci sono cose, secondo me positive da un lato del muro ma anche dall’altro lato; quindi, bisognerebbe prendere un po’ spunto da entrambi i lati del mercato, però, secondo me, chi è dal lato commerciale, o comunque dal lato più pop della situazione è normale che non voglia o comunque che non gli piaccia collaborare con chi è totalmente underground.
Dall’altro lato quello underground dice: – “no magari a me quella musica che fate non piace”, ci può stare, e quindi dice che non vuole assolutamente collaborare con voi, anche potendo. Poi ovviamente c’è chi scende a compromessi e chi non ci scende.
Credo che il mercato musicale sia fiorente, quindi va bene sia da un lato che dall’altro, non credo che abbiamo bisogno di altre mescolanze per poter avanti qualsiasi tipo di progetto. Quindi credo che l’underground, in questo momento, non abbia bisogno del mainstream e il mainstream non abbia bisogno dell’underground. Però se c’è adesso un mainstream è perché c’è stato un grandissimo underground di hip hop italiano.
Nei nuovi inediti aggiunti alla tracklist di Questo non è un cane/Domo, ci sono “Con i miei brother” e “I miei cani”. C’è una rima di “I miei cani” che recita «è la tua fama che vorrei? Io ti risponderò: “no, mai”. Tu in questi brani infatti critici l’ostentazione non solo di ricchezza, ma del successo. Ti volevo chiede se significa che ti metti in netta contrapposizione a questo tipo di sfoggio, oppure è soltanto una critica e basta ad un certo tipo di scena?
CG: No, è un mettersi totalmente da un lato, che è quello di non ostentare la propria ricchezza, di raccontare diverse storie. Di fare un rap, in questo senso più politico. Un rap che abbia dei contenuti quindi lasciare poi da parte l’estetica, la parte dei soldi, il machismo, il sessismo ecc. E comunque crescendo si stabiliscono delle priorità nella vita, e sicuramente la mia non è quella di apparire, a questo punto della mia vita.
Sono totalmente disinteressato e credo che ci siano contenuti molto importanti da poter raccontare, che siano personali, che siano storici, che siano politici, che siano sociali. Quindi penso che ci sia molto di più da raccontare col rap che quello che si racconta di solito, però poi è ovvio che diventa uno specchietto per le allodole il fatto di dire guarda quanti soldi ho fatto con il rap, guarda la mia nuova macchina, allora tutti vogliono avere la nuova macchina.
Adesso, fare il rapper è come diventare calciatore negli anni ’90. L’idea è quella. Non c’è più quella passione per la cultura e non c’è più quella voglia di raccontare cosa sta succedendo sia a noi stessi, che all’Italia in questo momento.
Ci sono quelli forti che lo fanno, e che hanno anche dei bei contenuti poi c’è un sacco di scena in cui c’è un vuoto culturale, che rappresenta anche un po’ il vuoto culturale della nazione. Quindi se siamo stati abituati in quel modo, è giusto, è normale che quel modo di fare sia apprezzato.
Mi appassiona molto il modo in cui hai costruito il concept dell’album facendo riferimento a Magritte. E ti volevo chiedere se hai mai pensato al rapporto tra avanguardie artistiche e subculture? Avanguardie come il Dada a cui fai riferimento nell’intro dell’album, e le sottoculture in generale, di cui so che sei un grande fan.
CG: Certo io credo che il mio percorso sia un po’ partendo da Magritte, o da Duchamp, sia il destrutturare l’arte intesa come arte classica. Quindi io nel mio percorso sto cercando di distruggere il preconcetto di come sia effettivamente il rap, no? Perchè il rap si può fare in un sacco di modi; quindi in questo caso con il mio rap voglio fare un discorso sul mio discorso personale.
Così come questa non è una pipa nel senso in cui è soltanto il ritratto di una pipa, questo non è un cane è soltanto il ritratto di un cane. Si tratta in questo senso del mio specifico modo di intendere l’arte e di intendere il rap. Che piaccia o meno io sono convinto di questa cosa e che si può fare questo.
In questo caso parliamo quindi di Dada, parliamo di forme culturali e artistiche che hanno un po’ destabilizzato l’ambiente, però credo anche che il periodo artistico in cui si agisce è breve. E quindi non riusciamo a raccontare la nostra storia, nel modo più corretto e sensato possibile.
Questo discorso sul tuo discorso personale, mi fa venire in mente le barre di “Malastrada” in cui tu in poche semplici rime racchiudi parole piene di vissuto. Ti vorrei chiedere se avresti piacere di raccontare cosa c’è dietro queste barre: “Mio padre aveva almeno sette bocche da sfamare, non ha tempo per amare e non ha mai voluto un cane”.
CG: Dietro queste barre c’è il mio vissuto personale da bambino, di quando ero piccolo, che venendo dal quartiere popolare che è raccontato in “Malastrada”, dove mio padre lavorava anche 10-12 ore al giorno. Tornava a casa e aveva appunto sette bocche da sfamare se non otto, perché c’era anche la sua, quella di mia madre, di cinque figli, mia nonna che viveva con me. Quindi ci sono dei sacrifici dietro questo tipo di vita, questo tipo di scelta, nel senso anche di famiglia ampia.
E per lui non c’era tempo di amare, cioè non c’era proprio tempo. Il suo tempo di amare era una pacca sulla spalla quando tornava a casa la sera, poi si faceva la doccia, mangiava e andava a dormire e la mattina si risvegliava alle sei e andava a lavoro. Quindi anche volendo in lui non c’era modo di amare in altro modo.
Il suo modo di amare era lavorare e portarci da mangiare, non c’era un altro modo di amare, non c’era una carezza, non c’era un bacio, non c’era un bravo. Non c’era tempo per quello come non c’era tempo di avere un cane. Perché, comunque, un cane è un impegno in più, è una bocca in più e quindi un soggetto in più da amare all’interno di una famiglia già numerosa.
Quali sono i tuoi ascolti ultimamente? Che album ci consiglieresti, di qualsiasi genere?
CG: Ascolto l’ultimo uscito dei Chinese Man “We’ve Been here before”. È un gruppo che seguo molto, hanno delle sonorità che mi ricordano il periodo che ho fatto “Melograno”. Quindi sicuramente questo è un disco che consiglio.
Mentre hai qualche lettura da consigliare?
CG: “L’avversario” di Carrère e “Follia” di Patrick McGrath. Appassionanti e davvero scorrevoli nonostante non siano piccolissimi.
Rapteratura: Grazie del tuo tempo è stato veramente un sommo piacere intervistarti.
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