Noi di Rapteratura abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Yazee. Tra cultura, black music e hip hop abbiamo parlato di come si può rinnovare il sound in Italia senza cadere sempre nella caccia al sample o al remix, ma non solo; il produttore milanese ci ha raccontato “Reflection”, il suo nuovo beat tape uscito il 29 marzo.
Un disco in cui Yazee si è “tolto qualche sassolino dalla scarpa” osando e facendo i conti con la black music tra RnB e nu Jazz, suoni ancora troppo inesplorati e soprattutto mal digeriti dal grande pubblico.
Yazee è uno dei produttori più poliedrici della scena hip hop e non solo. Partito in un contesto rap molto forte come quello di Bullz Record diventa successivamente uno dei produttori di punta della Machete, una delle prime realtà totalmente rap a entrare in un’orbita più popolare.

La sua tag “ya-ya-yazee” inizia a circolare producendo svariati brani di Nitro come “Rotten” ma soprattutto “Battle Royale” una delle posse track più corpose e riuscite del rap italiano. Ma con Yazee non abbiamo parlato di questo, anche noi come “Reflection” abbiamo voluto ‘osare’ cercando di strutturare un discorso sulla musica che va ben oltre il rap.
Ciao Yazee, voglio partire con una domanda per rompere il ghiaccio. Come stai, ovvero che periodo è questo per Yazee? Hai pubblicato un beat tape (Reflection ndr), sei contento di questo disco?
Sì, sì, diciamo che è un disco che voleva essere una sorta di sassolino nella scarpa. Volevo tirar fuori delle cose molto personali e sono molto contento, sto facendo un sacco di session, ho molte opportunità con gli artisti con cui sto lavorando qui (in studio ndr).
Proprio in merito a questo disco ti volevo chiedere: ormai “Reflection” è uscito il 29 marzo e ascoltandolo, secondo me, è un disco che osa perché non è il classico producer album. In un’epoca in cui vanno di moda tantissimo i producer album pubblichi un beat tape, quindi un progetto strumentale con delle sonorità che sono un po’ al margine di quella che è la scena italiana rap oggi.
Che cosa ti ha spinto proprio a fare un disco con queste sonorità così particolari? Soprattutto perché andare in controtendenza facendo un beat tape strumentale?
Sì allora l’ho fatto prevalentemente perché sono dei beat molto difficili da prendere da saper usare, mettiamola così. Generalmente un rapper fa molta difficoltà, anche per una scelta di coraggio, a usare determinate sonorità che sono culturalmente fuori dalle nostre, più afroamericane. Ed è un po’ la mia storia, no? Quella di vivere con quel gusto orientato verso la black music, il soul. Volevo tirar fuori una sorta di curriculum per far sentire cosa so fare per spingere, magari, gli artisti a fare di più e capire anche un poco questo suono.
Reflection lo considero anche un disco experimental hip hop, che mi ha ricordato anche le produzioni della nuova scena rap underground newyorkese. Ascoltando “Reflection” si ha l’idea di un treno che viaggia su binari precisi, cioè la tua visione musicale, però come il treno viaggia tra varie città così tu nel disco viaggi verso generi musicali, molto diversi.
Di conseguenza, ci sono state delle influenze particolari per fare questo disco?
A cosa mi sono ispirato intendi? Mi fa strano che hai detto newyorkese. La mia ispirazione prevalentemente è più “Comptoniana”. Più del filone New Jazz. Neo soul, però californiano. Tende più in genere sulla West Coast quindi si presta anche al cantato e al’ R’n’B.
Si hai ragione, per Newyorkesi non mi riferivo alle origini ma a quella scena influenzata da quelle sonorità nu jazz e sperimentali (Match Hommy, Billy Woods etc etc…)
Hai detto di aver lavorato anche in studio con dei musicisti, proprio sulla gestazione del disco volevo chiederti come è stato proprio lavorare a questo disco? Hai scritto di aver studiato, di esserti preso il tuo tempo… quindi come è stato approcciarti ad altri musicisti?
Per produrre questo disco il mio processo creativo era prevalentemente questo: magari prendevo ispirazione da delle cose oltreoceano o facevo degli ascolti, poi programmavo la musica, cioè, facevo le strumentali. Molto spesso col pianoforte perché è il mio strumento ricorrente, poi invitavo in studio i musicisti. Suggerivo loro delle partiture o dei riff, loro lo facevano. Un disco comunque preso da una mia visione nell’insieme e poi integrato da miei amici che suonavano

Hai una traccia preferita, comunque una traccia che ti sta più a cuore, a cui hai dedicato più tempo o che ti è rimasta più impressa nel tempo?
Mi piace molto “Energy”. Perché le vibes mi trasmettono un sacco di cose non specifiche. Non è riconducibile ad una sensazione sola come la tristezza o la felicità. È un brano che trasmette un sacco di emozioni contrastanti ma non mi mette né angoscia, né tristezza. E come se ti fermassi a godere quella vibe. L’ho chiamata “Energy” perché è molto molto meditativa.
Una delle mie tracce preferita, forse insieme a “Triumph”. È una bella produzione anche quella.
Nella stesura del disco non hai mai pensato magari a qualche rapper italiano che potrebbe star bene su uno dei tuoi beat? Anche perché comunque hai lanciato una sorta di sfida su Instagram dove inviti giovani rapper o altri producer a remixare oppure a incidere le barre sulle tue produzioni.
Sì, alcuni beat sono stati concepiti per essere mandati a qualche rapper. Però alcune basi non sono state mai usate le ho sviluppate e le ho messe nel disco. Sinceramente sono pochi gli artisti che ci vedo sopra queste sonorità. Forse un Johnny Marsiglia o un Ensi potrebbero starci, magari Heartman…
Queste sonorità Nu Jazz o RnB come mi dicevi, pensi che possano essere una svolta per il rap? Alla fine, non c’è tanta innovazione su questo lato, forse anche per una questione culturale in Italia che non si è mai sviluppata, magari possono essere considerate la svolta per uscire dalla ripetitività.
Assolutamente sì! Beh, il jazz c’è già stato in passato ma sviluppato in altre forme però credo che proprio il jazz come è stato concepito nell’approccio sia molto libero. In un momento dove si fanno sempre le stesse cose o accordi molto semplici di quinta o di terza – adesso ti parlo in gergo tecnico -, soprattutto nel pop che ha delle sfumature molto basiche, il jazz è qualcosa che puoi riprogrammare e reinventare. Secondo me ci può essere un un bel ritorno.
Parlando invece di nuove tendenze e ritorni, che cosa ne pensi del campionamento o del sampling? Una tendenza che è ritornata molto forse anche in maniera eccessiva. In un post su Instagram scrivi “far musica senza l’uso di campioni ha un valore incomparabile”. Anche noi in redazione abbiamo trattato l’argomento chiedendoci quando sia opportuno campionare o usare un sample.
Allora sicuramente è un fatto etico. Non so se ti riferisci a campionamento tipo “Splice” oppure prendere brani esistenti…
Soprattutto brani esistenti, perché è un modus operandi che abbiamo ritrovato soprattutto di recente negli ultimi anni, magari campionando la hit degli anni 90…
Allora io credo che con questa formula sia ovviamente più facile perché il cervello una macchina analitica che funziona per aspettative. Di conseguenza quando tu riutilizzi qualcosa che già inconsciamente il pubblico riconosce hai in un certo qual modo già vinto, perché proprio noi funzioniamo così, cioè il nostro cervello funziona in quella maniera. Se si riesce a personalizzarlo e renderlo in una chiave nuova è figo se invece questa cosa manca… si avvicina al fare la stessa cosa e secondo me non ha quel valore artistico. Ma non sono contrario al campionamento, anzi.
Io penso che tu sia uno di quei producer che ha fatto molta gavetta, sia con Machete sia agli inizi, soprattutto se pensiamo che in quegli anni il produttore non era nemmeno citato nella traccia. A tale proposito, ti volevo chiedere: cosa ne pensi del ruolo del producer oggi, cosa è cambiato rispetto a un tempo?
Ma io penso che proprio quando sono emerso io, ai tempi del “Machete Mixtape 3”, si iniziava a dar considerazione i producer no? Se pensi a me, Big Joe, Low Kidd, tutta quella generazione, cioè, la mia generazione, ha iniziato a farsi notare col tag. Da quel periodo in poi le cose sono cambiate. Adesso c’è molto spazio per i producer, molto più che 15 anni fa. Ora c’è un lavoro molto più di team. Si sta cominciando a lavorare molto come negli Stati Uniti, cioè in studio con più musicisti e più autori: lì si crea la musica tutti insieme per dare più più originalità al tutto, per agevolare anche il processo.
Mi hai parlato di Stati Uniti, quindi ti chiedo: l’Italia cosa dovrebbe imparare dagli States nel modus operandi e nelle produzioni?
Il coraggio.
Ok, quindi osare anche osare?
Si, osare. Avere il coraggio, non farsi troppe seghe mentali sul fatto che deve essere una hit che deve funzionare, sul fatto che alcuni accordi non vengono capiti qua. Colgo l’occasione per dire questa cosa che reputo importante. Mi sono ritrovato spesso in studio con dei cantanti o con delle persone che facevano richieste specifiche. Nel momento in cui cercavo di osare, mettere delle robe non canoniche, al di fuori di quello che si usa molto spesso in Italia, mi veniva detto: “eh no, ma questo accordo è troppo difficile”, “eh, ma questa cosa non andrà mai in Italia”.
C’è questo “non andrà mai” che, secondo me, è radicato molto nella nostra cultura. C’è un pessimismo che ci mette lo sgambetto automaticamente mentre crei. Dici che “andrà male a prescindere”, quindi evito di fare “perché poi ho paura di non essere ascoltato o apprezzato”. Facciamo sempre un passo indietro, questa paura ci vincola. Dovremmo smettere di farlo, in questa maniera la musica e il mercato si evolvono. Più persone hanno coraggio e più c’è novità.
Hai partecipato anche al “RnB New Scene Takeover Fest” in qualità di giuria stampa, dove ci hai trovato come ‘colleghi’. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza? Invece cosa pensi della situazione delle R’n’B in Italia anche dopo il Festival?
Penso che ci sia che si sia creata una bella realtà, un bel collettivo, adesso molto più largo. Sono molto più speranzoso che questo genere prenda piede perché siamo più uniti. L’unica cosa è che, secondo me, c’è un po’ di confusione anche tra le persone che hanno partecipato e il pubblico che ascolta su cosa sia l’RnB vero e proprio. Ma è una cosa normale, non sto accusando nessuno. Ci sono stati alcuni partecipanti che pensavano di star facendo RnB, ma in realtà mi sono spesso ritrovato ad ascoltare delle tracce dove c’è il rapper che canta sulla base RnB, oppure il cantante pop che fa le note pop sulla base RnB. In realtà l’RnB è proprio tutto il pacchetto, nel senso, in primis devi saper cantare, non è che, se rappi fai RnB, devi toccare determinate note o archetipi di note Rhytm and Blues, per l’appunto.
Quindi, secondo te, qual è il problema? Anche qui c’è questo strato ingombrante di pop?
Sì, perché, secondo me, in Italia il problema è la didattica. Si studia poco. Quindi non si sanno in primis quali siano gli archetipi del genere. No, bisogna andare indietro e capire. Da dove parte l’RnB? Quali sono le progressioni utilizzate nella Rnb? Quali sono le note che un cantante tocca? Perché, se sei un cantante pop non puoi definirti un cantante RnB. Però ci sono molti artisti validi. Vorrei citarne uno, ci tengo. Si chiama Hartman, secondo me lui dovrebbe avere uno spazio molto più ampio e quando io sento cantare lui penso subito al’RnB.
Heartman è fortissimo! Tra l’altro proprio questo venerdì ha rilasciato un nuovo singolo: “Crocerossina”, brano che abbiamo trattato nel What’s New la rubrica dove esaminiamo tutte le nuove uscite. Peccato che sia stato visto come un meme per il tormentone nato da “Esperienze Nuove”, quello forse è brutto…
Eh, ma perché te l’ho detto c’è un po’ di ignoranza verso il genere. Se tu non ascolti dove lo fanno veramente e non comprendi come viene fatto là è ovvio che appena lo senti dici cos’è ‘sta roba strana? Quasi ridicola, no? Come successe a Sfera Ebbasta anni fa…
Si, si hai ragione. Forse ci dovrebbe essere un’altra rivoluzione in questo senso, anche per quanto riguarda suoni più black…
Esatto. Però meno male che sia diventato un meme. Cioè, io ne sono contento perché almeno l’hanno ascoltato, comunque è arrivato alle persone. La maniera magari non è quella giusta… però alleluia.
A questo punto non posso non chiederti di consigliarci tre dischi… magari RnB, per i neofiti del genere.
Ok. Sicuramente “Trap Soul” di Bryson Tiller, “Back of My Mind”, di H.E.R. Mentre nel rap vi consiglio un disco di Little Simz, l’ultimo è figo, “No Thank You”.
Che consiglio daresti a un giovane producer che ora sta iniziando ad affrontando la musica e vorrebbe produrre?
Un consiglio è sicuramente quello di non seguire troppo le tendenze, ma di assecondarle. Cioè, io sono sempre dell’idea che tutti siamo influenzati dalle tendenze, è umano ed è normale ed è bene che noi le assecondiamo. Se va di moda quel clap, utilizziamo però il contorno deve essere originale. Bisogna seguire sempre le nostre radici. Come nel mio caso, io ho sempre ascoltato Black music, mio padre quando ero piccolino mi metteva sempre il soul… Marvin Gaye o Aretha Franklin, quindi in un certo senso le mie radici le ho sempre assecondate. Questo è un po’ il mio consiglio.
Bellissima risposta. Per chiudere ti chiedo qual è la produzione dei tuoi sogni. Un rapper o un artista che vorresti produrre ora come ora.
Italiano o estero?
Come vuoi tu.
Ok allora te ne dico uno italiano e uno estero. Mi piacerebbe collaborare con Marracash. Mentre americano sicuramente Kendrick Lamar.
Tra l’altro hai scelto due rapper che vengono paragonati spesso…
A livello di scrittura sì.
Yazee grazie del tempo a disposizione, è stata veramente una bellissima chiacchierata. Sicuramente ne sono uscito arricchito, è stato un onore scambiare quattro chiacchiere con te sul rap, l’RnB e la Black Music.
In bocca al lupo a voi per il magazine. Un abbraccio.
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