Caro lettore, cara lettrice, stacchiamoci, per il breve tempo impegnato della lettura di questo scritto, dal soffocante ritmo a cascata della pubblicazione musicale. Scordati per un attimo delle uscite del momento, delle classifiche e delle hit che ti frullano in testa. Mettiti comodo/a, ovunque tu sia. Concentrati insieme a me sull’importantissimo ruolo che la cultura – in questo caso – musicale ha nella nostra dimensione nazionale e prendi questi concetti, ti saranno utili nel corso dell’articolo per capire cosa intendo.
Accettiamo, senza troppe dimostrazioni, che la cultura è liquida, fluida: questa cambia in base alle interazioni (più generali, dagli oggetti, ai prodotti, alle persone, singole e in gruppo). Ma cosa intendo per cultura? Per cultura intendo – prendendo in prestito l’espressione di Clifford Geertz – quella ‘ragnatela di significati’ in cui l’individuo è sospeso e dalla quale dipende la sua visione del mondo. Una specie di paio di occhiali con cui vediamo ciò che ci circonda. La cultura, e tutti i suoi prodotti, ci permettono di dare un significato specifico al nostro mondo.
Questa premessa mi serve per preparare il terreno e parlare del ruolo e dell’importanza che la saga di mixtape di Gemitaiz “QVC” ha avuto e che, secondo me, non gli viene abbastanza riconosciuta. A mano a mano che vai avanti nella lettura, ti darò un pezzettino di puzzle – evidenziato in neretto – da incastrare in modo tale da farti avere, giunto alla fine, una visione completa.
Disclaimer: citerò dei brani campione, più o meno iconici, per supportare quanto dico. Mi scuso in anticipo se selezionerò o tralascerò qualche pezzo a cui gli ascoltatori e le ascoltatrici sono più affezionati di altri.
Iniziamo mappando il dove e quando.
Ovviamente siamo in Italia e l’Hip Hop italiano, fino a questo momento, ha vissuto solo episodi di splendore.
È il 16 ottobre del 2009, siamo a Roma. Gemitaiz pubblica, in un apposito sito, il download per il primo capitolo di “Quello Che Vi Consiglio” e lo comunica ai suoi fan tramite MySpace, Twitter e Facebook. Sei anni prima era entrato nel mondo della musica e Canesecco lo stava sostenendo accoratamente. Sei giorni dopo questo mixtape muore Stefano Cucchi. Il presidente del consiglio è Silvio Berlusconi. L’Inter vince il diciassettesimo scudetto e la Lazio vince la Coppa Italia (ndr. Gem tifa la Roma). La musica emo, il pop punk e annessi stili vanno di moda. Insieme a questo i vestiari sgargianti, le frangette, MSN, i trilli. I Dogo hanno pubblicato da qualche mese “Dogocrazia”. L’Italia sente parlare di crisi in TV ma non la tocca ancora con mano, tutto sommato si stava ancora bene ma non lo sapevamo. Gem non se la passava nemmeno troppo bene economicamente.
Cosa meglio dell’Intro del primo tape per iniziare? Gemitaiz sceglie la base di “FlowMotion” (“Face Death”, 1993) dei Bone Thugs-n-Harmony, del ’93. Il gruppo ottenne grande risonanza per la grande veemenza dei loro versi in cui si riversa la rabbia contro uno Stato che li ha lasciati crescere per le strade violente e povere di Cleveland.
(Tieni bene a mente che la stragrande maggioranza delle basi scelte nei mixtape “QVC” sono americane e dietro ognuna di loro si nasconde un processo di scelta operato dall’artista stesso).
Il brano in questione è un concentrato energico di rime, il flow del gruppo è un mitra, i coretti in sottofondo, invece, rendono quasi sacrale il pezzo e spingono l’immaginario fino ad un rituale di strada. Cosa succede? Gem – immagino dopo un ciclo di ascolto a “FlowMotion” – decide di sceglierlo, RIADATTARLO, RE-INTERPRETARLO A MODO SUO cucendoci sopra un testo capace di condensare l’intero significato del progetto, le sue riflessioni e le sue sensazioni.
L’artista si presenta alla scena rap e dice di ‘trattare sto mixtape come un figlio’, perché in fondo già sa che, innamorato com’è di questo genere, avrebbe fatto crescere le prossime generazioni con le sue scelte musicali e le sue riproposizioni. La rabbia che pervade un artista ‘povero di cash ma ricco di rap’ trova il suo canale espressivo più economico su una base già edita, condivisibile al solo patto di non renderla commerciabile.
La catena di azioni preposta alla creazione del brano catalizza la potenza lirica tramite i beat americani. Questo è il tipo di operazione che viene portata avanti in ogni traccia: scelta del brano con un significato, re-interpretazione del suono, ri-proposizione di un altro testo e, infine, condivisione COMPLETAMENTE gratuita. Come una sorta di scuola del rap, ma senza le tasse da pagare, che si sostiene e alimenta di sola passione.
(Quasi ogni scelta di beat meriterebbe un articolo a sé per decodificare la catena di azioni sopra elencata, ma andiamo oltre, sennò non finiamo più.)
In “34 Rime Per Spiegatte Quanto So Bianco”, una diss-track contro Noyz dovuta a dei dissapori -dovuti, si dice, alla scelta di un beat che voleva utilizzare quest’ultimo – utilizza “Go Hard” di DJ Khaled (Ft. Kanye West & T-Pain). Per spiegare cos’è l’Hip Hop e dire che non è morto (“È Morto“) ma che vivrà fino a che farà parlare, sceglie invece “Summer in the City” di Wax, un rapper diventato famoso su YouTube.
Lasciamo stare per un attimo la crono-storia, andiamo a spasso per i veri QVC e guardiamo le operazioni che poi, da questo volume, il rapper ha sempre adoperato.
Due grandissime visioni contrapposte e obbligate a scontrarsi si dispiegano nei primi anni: chi conosce il brano e coglie il riferimento contestualizzato nel campo “mixtape” (utilizzare basi già edite o non ufficiali), apprezza il doppio; chi conosce solo il riferimento senza comprendere il concetto di “mixtape” accusa il rapper di copiare gli americani e molti, in quel momento, hanno scelto la seconda via.
Sono due reazioni molto forti che, sui vari social del tempo, hanno generato dibattito e campo fertile per Gem e per le successive pubblicazioni. Cosa c’è di più Hip Hop di parlare nei tuoi brani delle critiche che ricevi per poterle trasformare in materiale di testo sovvertendole a modo tuo? Il giovane rapper romano stava muovendo le acque di un movimento undeground che da lì a poco avrebbe dato origine ad un brodo primordiale capace di generare la stragrande maggioranza dei rapper che ci ascoltiamo oggi. Stava lasciando un saggio musicale di come si assorbono le critiche, tramite la filosofia Hip Hop, e come le si trasforma in energia. Andiamo avanti.
Nell’iconica “Sperare” seleziona “Run This Town” di Jay-Z, Rihanna, Kanye West e dà l’inizio ad una narrazione che continuerà in QVC 2 utilizzando “Diamonds and Mac 10’s” di Shyne.
La stessa operazione è stata fatta con i tre capitoli di “Superman” (QVC 1, 2, 4), i due di “Faccio Questo” (nei primi due capitoli), tre di “Quello che vi consiglio” (QVC 1, 4, 7), ben otto di “Veleno”, tre de “La Ballata del Dubbio” (QVC 3,4,5) e altre ancora. Si inaugura così una saga in una saga, una specie di stagione di telefilm, una trama di rimandi che, oltre a generare affezione, fa già prefigurare a chi ascolta che tipo di traccia si troverà davanti.
Le tracce originali che sceglie per questo tipo di brani sono completamente diverse, tanto per i significati quanto per le influenze racchiuse, ma ciò che si nasconde dietro quest’operazione di “appropriazione” con altri titoli -passami il termine- da parte di Gem è un’educazione all’ascolto. Come un autore che decide di creare un’antologia di brani modello da far leggere ai suoi alunni per educarli a determinati canoni letterari, così ha fatto Gemitaiz ma con il rap. Il fan che si lancia ad ascoltare le varie parti delle micro-saghe non sa che nel suo orecchio sta per far entrare altra musica americana che gli influenzerà il gusto e un testo di Gem che gli scalderà il cuore.
Questa scelta di brani, con le nuove etichette nominali affibbiate da Gem (i nuovi titoli intendo), ha permesso ai neofiti di innescare un processo di digging e scoperta musicale profondissimo: ascoltando casualmente brani come “Tupac Back” di Meek Mill (Ft. Rick Ross), “6 Foot 7 Foot” di Lil Wayne (Ft. Cory Gunz), “Otis” di Jay-Z & Kanye West (Ft. Otis Redding), anche l’ascoltatore o l’ascoltatrice più distratto ha la capacità di cogliere il sample di “Haterproof”. Alto esempio ancora più eclatante: all’ascolto di “Tom’s Diner” di Suzanne Vega o il famoso sample “View On The Corner”, da cui poi prende il nome il brano, sono pochi quelli che non urlano i primi versi di “On The Corner” (QVC 4). Quasi analogo, ma non sovrapponibile, è il caso di “Goosebumps” di Travis Scott e “Gigante” di Gem, ma è diverso perché i due brani, in Italia, sono diventati famosi quasi allo stesso momento e, vicendevolmente, si sono aiutate.
Il suono, in casi come questi, va a risvegliare i ricordi più profondi legati al brano che si conosceva per primo e lascia la libertà di andare a scoprire la storia che li lega, li influenza e li genera.
Mentre in America alcuni di questi brani suonavano in tutte le radio, in Italia non se ne aveva traccia se non nei meandri e negli anfratti di Internet come i blog o gli spazi di discussione per gli appassionati. Gem, per l’appunto, ha selezionato delle strumentali iconiche, le ha studiate, ha capito come riadattare il suo flow e i suoi contenuti e le ha portate ad un pubblico che, esclusi i grandi modelli mainstream, era completamente ignaro di tutto questo. Se MTV selezionava solo i brani più famosi che l’intero mondo sputava fuori, Gem, come il braccio meccanico di un gioco in cui devi riuscire a pescare palloni o peluche, pescava i brani che preferiva e li offrivaal nostro ascolto.
Il merito che ha quest’azione è quello di aver staccato la cultura HH dal mondo altro, l’internet, e averla fatta vivere nel concreto, tra la gente che, in un passaparola generale, ha diffuso questi progetti nei modi più disparati per poi ritrovarsi sotto i palchi a cantarli. Da internet, tramite internet, alla vita vera, all’ebbrezza del concerto. Senza gli attuali comunicati stampa, senza le manovre di marketing, senza l’informazione capillare gestita da una major.
Chi è cresciuto ascoltando Gem, quindi la generazione con cui ora collabora e, probabilmente, la next gen che sta arrivando, ha avuto la possibilità di avere nell’orecchio dei modelli generativi di suoni, di rime, di flow semi-americani, italianizzati, tanto varia che, se rimescolata ai propri gusti autonomi, genera delle variabili di novità importanti.
In altre parole, l’artista romano è stato ed è un ambasciatore culturale di un genere che, nel secondo momento di ambientamento, non aveva canali istituzionali o privati (radio o trasmissioni tv) che permettevano la propagazione di questi ruoli. Nonostante i cambiamenti, non li ha mai abdicati.
Se oggi, molti, riescono ad avere una passione profonda per il rap e una conoscenza non banale del genere americano, è anche grazie a lui che ha importato senso e significati in una musica che faceva fatica a trovare la sua ragion d’essere in quel momento. Un artista generazionale per tutti i nati a cavallo tra i millenial e la gen z. Semplicemente Gemitaiz.
Parlo anche un po’ da fan, ma grazie.
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