La settantaquattresima edizione di Sanremo (2024) si è conclusa questa notte alle 2:45 circa e di cose da dire ce ne sono tante. Simone e Giordano sono venuti a casa mia per guardarlo e le parole che stai leggendo sono le riflessioni che abbiamo raccolto nel pre, durante e post serata.
L’epilogo era (abbastanza?) prevedibile e ha vinto con merito Angelina Mango. Le sorprese non sono state durante la serata finale, ma durante le quattro precedenti puntate. Evitiamo d’impelagarci in cose che ci riguardano di striscio e andiamo dritti al punto, nel nostro orticello.
Iniziamo in medias res.
Quanto è successo a Geolier sul palco dell’Ariston, è rivelatore delle tendenze sottocutanee del pubblico sanremese e non. In questo caso il secondo non è stato il primo dei perdenti, ma il primo perseguitato da umiliare.
Angelina Mango e Geolier, l’empatia è la chiave di volta
Nella quarta serata, dedicata alle cover, il pubblico ha esplicitato uno dei suoi metri di giudizio principale nel favoreggiamento ad un brano: l’empatia estemporanea legata al momento singolo dell’esibizione.
Angelina Mango ha portato sul palco “La Rondine“, il brano di Mango, grande artista e defunto padre della vincitrice del festival. La performance, di altissimo livello, ha toccato il gusto e il cuore del pubblico che, all’annuncio della classifica, non si è dimostrato per nulla soddisfatto del podio della serata cover.
Geolier, dall’altra parte, ha portato un medley che racchiudeva una reinterpretazione di alcuni brani cardine del rap italiano: “Brivido“, “O’ Primo Ammore” e “Chiagne“. Ad accompagnarlo sul palco, nella serata duetti-cover, c’erano: Guè, con il durag e vestito come se stesse in Reasonable Doubt di Jay Z, Luché, il padre artistico e punto di riferimento per il giovane partenopeo e Gigi D’Alessio, il simbolo di una Napoli intergenerazionale e intragenerazionale.
Una vittoria, questa volta non mutilata, del rap a Sanremo. I classici del nostro genere preferito suonati dall’orchestra dell’Ariston in cui sono state incastonate le note di Still Dre. I P’ ME, TU P’ TE è una bella hit pop rap, ma non è un brano rap. Quello portato alla serata cover, seppur con le sue sfumature, invece sì. E questa è sicuramente una tappa ulteriore per l’emancipazione e l’accettazione del genere.
Un ulteriore tassello di un percorso che parte dai Sottotono, passa per Articolo 31, Rancore, Clementino, Rocco Hunt, Lazza e arriva a Geolier. Perdonate se dimentichiamo qualcuno, ma questi sono i più iconici. Bellissima emozione, ma non basta, la strada è ancora lunga e tortuosa.
Ecco, noi fan del genere siamo stati sicuramente felici, perché ciò di cui parliamo ogni giorno sta prendendo la dimensione che vorremmo; le nostre aspettative iniziano a concretizzarsi. Al contrario, le aspettative del pubblico di Angelina si sono infrante.
La sensazione è che il disappunto del pubblico non sia odio verso Geolier, quanto amore infranto nato nel non riconoscimento per Angelina Mango. Al contempo, è difficile non pensare che nei fischi della platea non ci fosse una componente di svalutazione artistica della performance rap, esacerbata, soprattutto sui social, da un odio territoriale nei confronti della Campania, che seppur acquietato, non accenna ad estinguersi.
Qualche considerazione sulla sala stampa e sui premi della critica
Gli interventi della sala stampa e i premi, attribuiti dalla critica, fanno nascere più di qualche dubbio che riteniamo adeguato estendere.
Le domande fatte a Geolier, ma anche ai suoi colleghi, esplicitano la necessità di un ringiovanimento della casta giornalistica che più che a riportare i fatti, mira a mettere in difficoltà con un linguaggio non idoneo. Anche la redazione di Outpump ha sollevato le nostre stesse perplessità; le maggiori riviste presenti erano testate che non conoscono e non approfondiscono, nel nostro caso, il genere che trattano.
“IL CORAGGIO DEI BAMBINI” è stato il disco più venduto del 2023, il mondo Hip Hop e Urban rappresenta un pilastro del mercato musicale ora come ora, perché non dare spazio ad una voce che possa essere comunicativa con questo genere?
Non dico che dovremmo presenziare noi (se qualcuno della RAI legge, trovate la nostra mail nel sito), ma qualcuno del settore, formato, che parli la stessa lingua dell’artista perché, come si sta facendo ora, la bilancia pende troppo da un lato rispetto all’altro.
Nel frattempo, noi spazi interpretativi dobbiamo maturare, ri-formarci e ottenere i riconoscimenti utili per fare da tramiti per questi palchi. Un’interpretazione che tenga conto di quanto l’artista dice è ciò che dobbiamo portare avanti se vogliamo fare qualcosa di concreto per il movimento.
In quanto ai premi, il rap italiano ottiene spazio a fatica e solo se affiancato: Rancore vinse il premio Bardotti nel 2020 con Eden e vinse il premio Lucio Dalla, il Premio Bardotti, il premio Martini nel 2019, insieme a Daniele Silvestri per “Argento Vivo”.
Nel 2024, testualmente e contenutisticamente parlando, di rilevante abbiamo avuto Dargen D’Amico, Ghali, Mahmood ma nessuno che si avvicinasse ai criteri compatibili e ricercati dai giudici.
Angelina Mango ha vinto il Premio Lucio Dalla – che dà solo la sala stampa – e il premio Bigazzi. Cosa significa? Che una delle conquiste che il concorrente necessita di fare, per vincere il festival, è sicuramente la giuria. Scontato, direte, ma non è proprio così considerando le vittorie degli scorsi anni.
“Il premio Lucio Dalla ha l’obiettivo di valorizzare l’arte e la cultura del canto, della composizione della musica d’autore, dello spettacolo musicale in linea con il sempre desiderato progetto non scritto dal grande maestro e poeta scomparso Lucio Dalla“. In altri termini, la giuria premia chi avrebbe fatto vincere Lucio Dalla. Ergo, un artista del mondo HH e urban può vincerlo? Per farlo forse devi cantare. Beh, Lazza e Geolier l’hanno fatto.
Il premio Bigazzi invece lo si assegna alla composizione musicale e a pensarci è l’orchestra. Ergo, devi parlare la lingua dell’orchestra e devi far comporre la musica a chi parla la lingua degli strumentisti.
In conclusione, l’educazione da parte di Sanremo procede spedita
Il lustro targato Amadeus è stata una ventata d’aria fresca per tutta la RAI e, aggiungeremmo, per la discografia mainstream. Per le generazioni che si sono avvicinate da poco a Sanremo, Amadeus è un equivalente, coerente con i tempi, di Pippo Baudo.
Chi sa che questo ringiovanimento, iniziato nel 2019 con Claudio Baglioni, proseguito con Amadeus, non continui con una figura in grado di afferrare questo testimone? Ce lo auguriamo. Noi, da tempo, in redazione parliamo di Alessandro Cattelan come eventuale successore e non sembra essere impossibile. Chi sa se con lui il rap a Sanremo non si sdogani del tutto compiendo quel passo che con Lazza e Geolier si è solo fermato all’attitudine.
Nessun commento!