“Dove
gli occhi non arrivano” non è un semplice titolo, è una perifrasi, un giro di
parole, per dire “oltre le apparenze”.
Il disco
di Rkomi arriva dritto al cuore, all’immaginario, alla mente dell’ascoltatore;
molto più lontano di quanto possa arrivare un semplice sguardo.
La crescita artistica di Rkomi si è magnificamente dispiegata in questo ultimo
progetto perché, nonostante il suo album d’esordio e i due EP, questa è la
prima volta in cui Mirko Manuele Martorana parla di sé stesso agli altri.
In
principio era “Dasein Sollen”, frase tedesca del filosofo Heidegger per dire
“dobbiamo esistere”: l’EP è stata la dimostrazione che il ragazzo di Calvairate
ha dato a sé stesso. Con questo progetto ha dimostrato a sé stesso di poter
fare musica.
“Io in
terra” è stato il manifesto di esistenza al mondo.
“Ossigeno
EP” è la presa di coscienza dell’essere al mondo, ma è anche l’accettazione del
fatto che per essere capiti, bisogna fornire una serie di codici che gli altri
possono interpretare; in questo progetto cerca infatti di spiegare che il suo
modo di comunicare è la musica.
Arrivare al Cuore,”Dove gli occhi non arrivano”
“Dove gli occhi non arrivano” è la momentanea tappa finale del percorso che Mirko intraprese anni fa: dopo aver dimostrato a sé stesso di esistere, dopo averlo dimostrato al mondo, dopo aver fatto vedere come lui comunica, oggi, finalmente, dopo anni di attesa, è pronto a parlare all’ascoltatore.
Dopo il tortuoso cammino accidentato affrontato da Mirko, lui stesso ha cercato il modo più semplice per arrivare a tutti quanti e per questo motivo ha scelto un tipo di rap dalle sfumature molto pop, maggiormente fruibile all’ascoltatore ostico al classico ritmo cadenzato del rap.
Non lo si può definire un album meramente pop, l’inclinatura è sì evidente, ma sarebbe più coerente e corretto definirlo l’anello di congiunzione tra rap, pop e indie.
Chiariamoci, Rkomi non è classificabile come un rapper più affine all’indie, ma viste le esperienze passate che ha avuto ( è un amante del genere e un frequentatore di concerti indie) è come se avesse assimilato un po’ la concezione della scrittura, facendola sua e riproponendolo a mo’ di rappata.
Rkomi però non scrive, non parla, non rappa; Rkomi galleggia su un sottofondo musicale da cui levita per poter volare e andare a squarciare il tessuto della realtà al fine di raggiungere quello dell’immaginazione. In uno scenario soffuso, onirico ed elettrico, Rkomi apre macchie collegate alla sua memoria e da lì attinge al suo materiale di scrittura.
Dalle sue macchie di pensiero prende i suoi ricordi, le sue sensazioni e le sue emozioni, le raffina e le rende vaghe, impersonali ma utili all’immedesimazione dell’ascoltatore.
Proprio perché ora Rkomi si sente pronto ad aprirsi al mondo, chiama a collaborare con sé artisti adatti a parlare con un maggior numero di persone (Elisa, Ghali, Durdast – collaboratore dei The Giornalisti-, Carl Brave, Jovanotti e Sfera Ebbasta). Ogni passaggio eseguito dai nomi sopracitati non sembra per nulla forzato, ognuno di essi si esprime come meglio sa fare: Ghali, Carl e Sfera con le strofe, Jovanotti ed Elisa con i ritornelli e Durdast con la parte strumentale.
Nonostante la title track (“Dove gli occhi non arrivano”) dica che “anche con il testo sotto non arrivi al sottotesto”, ci fa ben intendere che se si aprono gli occhi, qualcuno in grado di capirci meglio di altri c’è. A tenerci compagnia durante l’ascolto del disco è infatti la presenza di una ragazza che spunta di tanto in tanto in quasi ogni brano dell’album: essa sembra essere compartecipe di molte esperienze di Mirko, fa spesso capolinea nei suoi pensieri e nei vari episodi di ordinaria routine, ora in maniera positiva (nella title track, in “Blu”, in “La U”,“Visti dall’alto”), ora in maniera positiva e negativa (“Boogie Nights”,”Impressione”, “Gioco”) ma già in un “Per un no” si inizia ad avvertire che qualcosa non va, infatti subito dopo in “Mon Cherie” l’artista assume un tono più scanzonato e orientato a rendersi conto che il mondo fuori è pieno di occasioni, ammettendo quasi che le litigate e le rotture sono “Cose che capitano”. In ultima posizione c’è “Mikado” un pezzo complesso a livello ritmico, metrico e rimico, con punchlines d’impatto; una vera e propria ricompensa per gli ascoltatori rap che sono arrivati fino in fondo e che hanno ascoltato l’artista che si confidava con loro.
La ricercatezza dei suoni del disco è sotto gli occhi, o meglio le orecchie, di tutti. Sarebbe riduttivo definire Charlie Charles solamente il direttore artistico del brano, sarebbe più consono vederlo come un vero e proprio regista che dirige la sua pellicola e che la arricchisce con veri e propri colpi di scena, momenti di tensione e di distensione.
Un esempio lampante di maestria nel beatmaking è “Mikado”: se quando la si ascolta si è in possesso di un ottimo modello di cuffie, si potrà notare la tridimensionalità della base, in cui si sentono le gocce d’acqua cadere e spostarsi gradualmente da sinistra e destra come se stessero per confluire tutte nell’orecchio dell’ascoltatore quando il rapper chiude alcuni versi. Se Charlie è il regista, chi decide le battute dei personaggi è sicuramente Rkomi che tramite la sua inconfondibile scrittura infonde pathos e sregolatezza: allitterazioni, paronomasie (mettere vicine parole con suono simile ma con significato differente), le accumulazioni di parole prive di articoli o preposizioni, le analogie, le metafore e i paragoni che fa rendono tutto più godibile per un ascoltatore che ha voglia di spaziare con la mente per godere completamente del disco.
Le sonorità e i colori che emergono ricordano molto il Sudafrica (non a caso l’artista ha passato un mese a lavorare al disco nell’estrema parte del continente, entrando in contatto con i musicisti autoctoni e con una concezione di musica totalmente diversa), il calore evocato dal suono è perfetto per una giornata di sole primaverile, per il tepore precedente all’estate e per viaggiare in auto con i finestrini abbassati accompagnati dal disco di Rkomi a tutto volume, perché seppur sia un album molto introspettivo, mantiene in molti punti una grande leggerezza e una grandissima spensieratezza.
“Dove
gli occhi non arrivano” è un album che può essere apprezzato alla semplice
condizione di vivere le proprie esperienze facendo tesoro gelosamente dei
ricordi che si ha, dai più belli ai più brutti: in questo viaggio sensoriale
Rkomi ti prende per mano e toccando e facendo esplodere le parole come
dinamite, riesce a tirar fuori dal palazzo della memoria ciò che ti fa stare
bene al solo pensiero e ciò che ti fa stare male, per poterlo affrontare e
prendere da esso soltanto la parte positiva.
Scivolati
via i 36 minuti del disco, avrai l’impressione di aver fatto due chiacchiere
con un buon amico che necessitavi di ascoltare e con cui dovevi assolutamente
aprirti.
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