C’è chi nella vita cambia, si ammorbidisce, fino a diventare un’altra persona. Ci sono altri che, invece, non cambiano mai, rimangono ancorati alle proprie radici, apparendo immutati nel tempo. Jake è uno di questi e, nel 2025, per certi aspetti è ancora “FAME”, quel ragazzo che a fine anni ’90 sognava di cambiare la propria vita grazie alla sua passione per l’hip-hop.
È stato detto tanto sulla carriera solista di Jake La Furia post Club Dogo, più critiche che elogi in fin dei conti e forse troppe critiche per alcune scelte non condivise dal suo pubblico che hanno fatto dimenticare di che tipo di artista e persona si stia parlando, ma che non sono mai state in grado (fortunatamente) di intaccarlo o farlo cambiare.
Lui è sempre rimasto quel ragazzone dalla battuta sempre pronta incapace di adattarsi all’ambiente, fino a spingere il contesto ad adattarsi alla sua personalità così esuberante e genuina. Perché Jake è sempre stato un ragazzo della piazza e niente potrà mai cambiarlo, come si suol dire “puoi togliere il ragazzo dalla strada, ma non la strada dal ragazzo”.
Ascoltando “Fame” è questa la prima cosa che salta in mente, la conferma del non cambiamento di uno dei rapper più forti che la penisola abbia mai visto, che finalmente si svincola dai compromessi per tornare a fare quello che gli piace: il rap senza alcun tipo di sfumatura, duro e crudo come faceva agli albori della sua carriera.

Dopo un esperimento riuscito con la reunion dei Dogo dell’anno scorso sembra aver capito di potersi permettere un progetto dove le barre sono al centro di tutto, e non c’è nient’altro a fare da contorno.
La scelta di affidare l’intera direzione artistica e tutte le produzioni a Night Skinny si rivela una scelta azzeccata, capace di sopperire ad alcune mancanze del rapper evidenziate dai progetti precedenti. Ritornando al discorso di prima, Jake è sempre quello dei Dogo, nel bene e nel male.
Se Guè è riuscito a costruirsi un personaggio, una gimmick (anche più di una) in grado di avvalorare la propria musica da solista, lui non ci è mai realmente riuscito, è sempre rimasto lo stesso, risultando a tratti incompleto, quasi perso senza le altre due teste del cane. Qui invece sceglie di farsi accompagnare in quello che di fatto può essere considerato un joint album a tutti gli effetti, come “Savage Mode” di Metro Boomin e 21 Savage. Ma non è tutto oro quel che luccica.
La costante presenza del producer molisano aiuta il progetto a raggiungere una coesione che nei precedenti lavori è mancata, ma a tratti risulta ridondante con suoni che si ripetono, come le voci pitchate presenti in molti brani.
Non è un difetto, personalmente ho apprezzato le produzioni e va detto che è lo stile di Skinny, in fin dei conti sono suoni che si trovano anche in “Botox” o “Containers” ma la mia mente non può che tornare a quel Don Joe onnipresente nei primi quindici anni di carriera di Jake e notare come questa sensazione di appiattimento non venisse percepita.
Lo stesso Fritu, che poco tempo fa ha interamente prodotto “Mafia Slime 2” riesce a utilizzare i suoni che preferisce e il suo stile senza risultare ridondante, difetto che qui invece emerge, seppur senza intaccare l’ottimo livello dell’album.
Così come il producer, anche dal lato del rapper qualche problemino c’è. Se le radici di Jake sono ben salde e percepibili come colonna portante della sua scrittura, a tratti la fanno risultare vetusta e fuori tempo, un po’ legata ancora a quegli anni ’10 che hanno sancito la fine dei Dogo. Per questo motivo nella mia testa ritorna l’idea che lui non sia mai effettivamente riuscito ad andare avanti, seppure con “FAME” sembri averci quantomento fatto pace.
Alcuni giochi di parole e chiusure ad effetto affondano a pieno le mani in quel periodo, su cui Fedez – per esempio – basò una carriera con queste caratteristiche, dando oggi una sensazione strana, di mezzo imbarazzo. Non è che oggi non vengano fatte, ma i ragazzi che le utilizzano tendono a spingere completamente l’acceleratore a riguardo: l’esempio più lampante probabilmente è Papa V (vedi l’esempio sotto), mentre Jake (così come tutti i colleghi della sua generazione) sembrano voler fare la battuta ma con timore di andare fino in fondo, risultando con l’essere l’amico che prova a fare il simpatico senza riuscirci.
Jake La Furia – 64 NO BRAND (“FAME”, 2025)“Non siete woke, siete wack, go back (Ah)
Cavallini per sempre, BoJack
Questa generazione che ci vuole cancellare
Non sa se la figa è orizzontale o verticale (Yeah)”Sono in casa senza luce, le tapparelle abbassate
Jake La Furia – Cocco24 feat. Noyz Narcos, Papa V, Tony Boy (Fame, 2025)
Parlo sempre a bassa voce, do un bacio in bocca a mia madre
Ho un bicchiere sempre pieno e le pupille dilatate (Ah, ah, ah)
E una figa su in cucina che cucina le lasagne
Vesto in tuta, Marlboro, caffè e sambuca (Slime)
Giro su una ruota, faccio soldi su ogni cosa
Ecco, questo tipo di barre, lasciano un attimo straniti, per quanto sia un dettaglio poco felice che non compromette il gran lavoro svolto.
Finora può sembrare una critica, può sembrare che il disco abbia molti difetti, ma semplicemente è più facile notare i difetti quando sono pochi rispetto ai pregi. Perché “Fame” è un album che di pregi ne ha veramente tanti.
Come detto la scelta di farsi affiancare da un direttore artistico ha pagato: lo si nota dai ritornelli sempre adatti, dai featuring scelti con cura per adattarsi allo stile che Jake ha voluto dare al disco e per “svecchiare” l’atmosfera, e dalla coesione che si avverte dall’inizio alla fine. Yugi rappa, Bresh e Rkomi cantano degli ottimi ritornelli, Guè torna una volta ancora in versione “Dogo”, e senza Skinny forse tutte queste scelte non sarebbero state così azzeccate.
Jake è libero di pensare solo a se stesso e a fare la cosa che gli riesce meglio, rappare. Lo fa scavando nel profondo, negli anni della gioventù e nelle difficoltà della sua vita, ai momenti belli e a quelli bui, al bene e al male. Parla a suo figlio, insegna alle nuove generazioni, pensa in qualche modo al lascito che la sua musica potrà dare alla scena e al pubblico, pensa a suo padre. Ricorda le notti in strada, circondato da droga e pessime compagnie, agli amici persi e ritrovati, pensa a quello che è stato e a quello che sarà.
“Revolutionary, bolle nei bicchieri (Yeah)
Jake La Furia – 64 NO BRAND (“FAME”, 2025)
Sono così avanti, fra’, che il mio disco esce ieri
Seppellitemi coi soldi (Ah) e una Glock carica
Perché è così che voglio che la gente mi ricordi (Uh)”
Se prima lo sguardo al passato era sofferto e doloroso, ora diventa motivo di orgoglio. Compaiono citazioni ai Dogo in abbondanza, dal ritornello di “COCCO24” ad opera di Tony Boy che riprende “Cocaina” all’incipit di “L’ULTIMO GIORNO AL MONDO” che riprende “Cronache di Resistenza” fino all’iconica barra “ho fatto il coca rap prima dei rapper ad Atlanta” nella già citata “64 NO BRAND”.
Jake La Furia – L’ULTIMO GIORNO DEL MONDO (“FAME”, 2025)“Sa, sa, prova il microfono, never give up (Seh)
Cervello spento, tele accesa, è la morte del rap (Ah)
Vivo l’ultimo giorno del mondo, fuori a petto nudo
Inspiro bene, sputo sulle sirene”“Sa, sa
Club Dogo – Cronache Di Resistenza (“Mi Fist”, 2003)
provo il microfono Never Give up
cervello acceso tele spenta esplodo sul boom bap
in città la milizia sevizia
colpi in fazza, morti in piazza, insabbiano la notizia”
C’è spazio per quella poetica che l’ha sempre contraddistinto, quella narrazione di Milano come croce e delizia, tra opportunità e coca, quella strada che per lui ha sempre rappresentato casa, quella gente che non l’ha mai abbandonato.
“FAME” è a metà tra un’autobiografia e un lascito, si sente Jake in tutte le sue sfaccettature per la prima volta da solista. È un disco di redenzione per una carriera probabilmente troppo criticata, un regalo ai fan che l’hanno reso celebre, un memorandum su chi sia la penna più forte d’Italia.
Non è un caso che questo disco, con una struttura così solida, riprenda il primo nome d’arte che aveva Jake (Fame) La Furia prima di essere Jake La Furia, quando militava in “Sacre Scuole”, un nuovo inizio, una nuova fine.
È il miglior disco di Jake e la perfetta chiusura di un cerchio, ma soprattutto è ancora quel ragazzino appena maggiorenne che si guarda più di vent’anni dopo e si rende conto che, dopotutto, qualcosa di buono l’ha fatto.
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