Il sentimento amoroso è un tema archetipico non solo della musica, ma della scrittura tutta ed è sempre complesso cercare di descriverne le sfumature senza ricadere nel banale o nel già sentito.
La ventunenne Madame, ex enfant prodige della musica italiana, si è cimentata in quest’ardua impresa nel suo secondo album, L’AMORE.
Se il concept del disco è ben definito già dal titolo, minimale e diretto come la copertina (uno sfondo totalmente rosso, colore dell’eros per antonomasia), il modo in cui Madame approccia l’argomento è tutt’altro che lineare.
Come nel Simposio di Platone gli ospiti del banchetto si confrontavano esprimendo le loro considerazioni sull’amore, così la cantante sembra disgregare il proprio punto di vista sul tema in disparate personalità, ognuna delle quali si espone con idee e opinioni differenti.
Il risultato è un convivio caotico in forma di album, nel quale ogni brano si fa portavoce di una storia diversa: Madame, giovane ma già maestra dell’arte dello storytelling, ricama intrecci che raccontano scappatelle senza impegno, rapporti fluidi, amori consolidati, attrazioni non corrisposte, amicizie, tradimenti e talvolta relazioni dai risvolti tossici e violenti.
Il soffuso ed etereo finale del disco (sorvolando sull’evitabile bonus track TEKNO POKÈ) sancisce addirittura che L’amore non esiste, quasi a ribadire l’intangibilità e l’ineffabilità del sentimento.
Nella maggior parte de L’AMORE Madame accantona le strofe rappate che la contraddistinguevano nell’opera prima, ricercando piuttosto delle strutture essenziali di stampo inequivocabilmente cantautorale.
Qualche episodio rap, seppur sporadico, c’è (i più riusciti sono sicuramente il singolo sanremese IL BENE NEL MALE e il toccante brano SE NON PROVO DOLORE), ma sembra evidente che l’autrice abbia nettamente ridimensionato quella parte di sé, rendendola quasi una contaminazione tra le altre.
D’altronde, oltre ai testi è variopinto e sfaccettato anche il sound del disco, curato principalmente da Luca Faraone, ma anche dall’inseparabile Bias, Shablo, Chris Nolan, Dardust e altri ancora: difatti, ascoltando L’AMORE passiamo con elegante disinvoltura dal terzinato alla cassa dritta, da atmosfere ambient a ballate che strizzano palesemente l’occhio a Fabrizio De Andrè (su tutte PER IL TUO BENE).
Se si ama la Madame di Sciccherie e di Voce probabilmente si avrà difficoltà ad assimilare L’AMORE: è un album sperimentale, difficile da digerire al primo ascolto, che c’entra poco e niente con la struttura solidamente omogenea del precedente MADAME.
Ma proprio chi la segue dagli esordi, dovrà riconoscere che Madame si sarebbe potuta comodamente sedere sul pop rap che l’ha resa celebre, riscontrando numeri, consensi e certificazioni quasi a scatola chiusa, ma non l’ha fatto.
Nel secondo disco (il più difficile per ogni artista) ha invece preferito mettersi in gioco, rilasciando un prodotto sinceramente eterogeneo, impossibile da etichettare, il cui senso viscerale di confusione, irrazionalità e libertà non può che incarnare il concept con apprezzabile originalità.
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