Ci sono due uomini seduti a una scacchiera. Il primo è anziano, vestito di abiti preziosi, decorato da gioielli, indossa una corona. Il secondo è un figura trasandata, veste abiti consunti. Il primo tace e ascolta. Il secondo gesticola e racconta. Ogni tanto muovono un pedone e continuano il loro gioco. Il primo è Kublai Khan, il secondo Marco Polo.
Il mercante veneziano non smette di parlare e non può farlo: sta descrivendo al sovrano le città del suo sconfinato impero, quelle che il regnante non ha mai potuto visitare personalmente. Il viaggiatore è un esperto ciarlatano: non ha mai visto le città di cui millanta, quindi le inventa di sana pianta. Costruisce città microscopiche e illimitate, volanti e sotterranee, alcune abitate solo da animali, altre così piene di esseri umani da essere sull’orlo del tracollo; città fantastiche, immaginate eppure terribilmente reali.
Oggi le meravigliose fandonie di Marco Polo sono contenute in un libro, si intitola “Le città invisibili”. Ve ne consiglio la lettura. Per arrivare a Murubutu dobbiamo passare per Calvino.

Se c’è un filo rosso che percorre tutti i luoghi di Marco Polo è che le città, nei racconti del mercante, non sono lo sfondo o il background di una storia. Le città sono la storia: sono personaggi concreti che manipolano le vite dei propri abitanti, ne muovono i fili, ne avvicinano o allontanano i destini, plasmano le loro decisioni, gli orizzonti dei loro desideri, delle loro rinunce. I luoghi urbani, da ambientazioni, diventano attori delle proprie storie.
Venerdì sette novembre, Murubutu ha pubblicato il suo ultimo lavoro “La vita segreta delle città“. In copertina, a cura di Elisa Puglielli, su un cielo notturno, si staglia un grattacielo, sulla cui cima una ragazza tiene la luna come un palloncino.

Cover e titolo non lasciano dubbi sul concept che abbraccia le quindici tracce che compongono il disco: il professor Mariani questa volta affronta il tema della città. Con l’album, l’artista rilascia anche una dichiarazione:
“La città è un libro di pietra su cui scivola la storia, ma mi piace immaginarla anche come un organismo vivente e senziente, capace di concertare il destino degli uomini. Ho voluto raccontarla dalla prospettiva di un flâneur, un osservatore che si perde tra le sue strade per coglierne l’essenza e indagare le dimensioni più nascoste. Lo sguardo che innerva il disco va a caccia dei dettagli e delle sfumature, interrogandosi sulle dinamiche degli spazi in cui l’umanità fiorisce e appassisce, e cercando di coglierne gli aspetti inosservati, i percorsi ignorati: la vita segreta delle città”.
Flaneur è l’uomo che cammina per le strade, che la osserva e vive il cuore urbano senza l’intenzione del turista. Passeggia e percepisce, lasciandosi assorbire dal tessuto della città. “Flaneur” è anche il titolo del secondo singolo estratto dall’album, in collaborazione con Ivana LCX. La città è la ville lumière, Parigi, eterna e misteriosa, con i suoi boulevard e i cafè, raccontata dagli occhi di un cittadino vagante che si lascia cullare dalla capitale. Ad un tratto arriva una donna a cui Ivana LCX dà voce: i due si innamorano, Parigi scompare dopo aver intrecciato i loro destini.
La base, curata da Goedi, strizza l’occhio al jazz rap, con batterie delicate e una tromba notturna: è una passeggiata sulla Senna, tra le lanterne dell’Ile de la Cité. Il brano sembra raccontarci il modo in cui Murubutu ha lavorato per comporre il disco, una sorta di dichiarazione di poetica.
Quindici tracce, quindici città. Alcune note, altre sconosciute; alcune provenienti dai secoli del passato, altre proiettate in un futuro che nessuno di noi si augura di vedere. Murubutu, novello Marco Polo, ci racconta la dimensione urbana e di come quest’ultima (come dice il titolo) viva segretamente, di nascosto dagli uomini, influenzando profondamente la loro linea della vita.
Raccontare le città vuol dire stanare storie e, indirettamente, passare in rassegna l’umanità tutta. Murubutu dispone i suoi pezzi sulla scacchiera e costruisce un disco in cui è possibile tracciare diagonali, parallelismi, opposizioni che collegano e allontanano i suoi brani. Il risultato è un disco coerente e ben strutturato, non solo costituito da tracce che affrontano lo stesso tema, ma da canzoni che si parlano e si rispondono. Seguiamo le direttrici di questo schema.
La città e le storie contenute in “La vita segreta della città”
Storytelling: è il tratto distintivo di Murubutu. Raccontare, tra incastri e rime, storie di uomini, eminenti sconosciuti o fragilissime celebrità. “La vita segreta della città” non si sottrae alla tradizionale abilità narrativa del professor Mariani, soprattutto se lo scheletro dell’album è fatto di palazzi, incontri, piazze e tante, tante, tante persone. Il rapper reggiano racconta vicende, personaggi, luoghi, usa parole bellissime, cariche di significati, citazioni, riferimenti e poesia.
Per Yaguine Koita e Fodè Tounkara la città è un sogno bellissimo. Loro, due adolescenti, due studenti bramano tutto quello che la loro terra, la Nuova Guinea non può offrirgli: rispetto dei diritti umani, un’istruzione, un lavoro, un futuro. Desiderano Madrid, Roma, Berlino, desiderano volare via, verso una vita senza compromessi. Il 29 luglio 1999 lo fanno realmente: si nascondono nella stiva di un aereo diretto a Bruxelles. Con loro hanno i certificati di nascita, le loro pagelle e una lettera indirizzata alle “Loro eccellenze i signori membri e responsabili dell’Europa”, in cui denunciano le condizioni di vita del loro paese, le disuguaglianze, la fama, la morte.
I due ragazzi verranno ritrovati morti, assiderati, poche ore dopo l’atterraggio in Belgio: durante il volo, le temperature nella stiva del velivolo avevano raggiunto -50 gradi. Questa storia, che parla del nostro presente, Murubutu la racconta in “Minuscola”: denuncia l’immigrazione. Non quella immaginata, ma quella di cui sentiamo parlare quotidianamente ai telegiornali.
Dublino è una città viva, “quasi un direttore d’orchestra” come dice lo stesso Murubutu, quando in Nora e James, racconta il primo incontro tra Nora Barnacle e James Joyce, uno tra gli scrittori europei più importanti del Novecento. Equivoci, giochi di sguardi, casualità e appuntamenti mancati sono i fili su cui la capitale iralndese intesse i destini dei due amanti. La traccia, prodotta da Gian Flores, campiona chitarre e una voce femminile, fornendo alla Dublino dell’Ulisse una tridimensionalità unica.
La storytelling di Murubutu è vario e la narrazione, in realtà, scorre per tutto “La vita segreta della città”, soffermandosi spesso anche su storie irreali, inventate, senza date e nomi precisi. Wanderlust è una parola tedesca, che letteralmente significa “voglia di viaggiare”. Il concetto porta dentro di sé la voglia di evadere, di esplorare nuovi orizzonti e di rompere le barriere. Il brano che porta questo titolo mette in scena una città che non ha nome ma che annichilisce i suoi abitanti con i suoi ritmi frenetici e depersonalizzati.
Il protagonista è Joe, un uomo che dopo 30 anni di fabbrica prova a realizzare il sogno di evadere e scoprire le bellezze del mondo, ma la morte ferma i suoi propositi prima di ogni realizzazione. Sofia, sua figlia, erediterà l’ambizione del padre e, zaino in spalla, partirà all’avventura armata di macchina fotografica: legherà ogni scatto a un palloncino ad elio, per far vedere a suo padre quello che il tempo ha sottratto al suo cuore.
Le città sommerse
Un disco sulle città nel 2025 è un disco che per sua natura deve confrontarsi con il nostro presente, raccontare la società moderna invischiata sul rullo omologante delle grandi metropoli. Murubutu non si sottrae alla necessità e il disco si confronta costantemente con i temi che attanagliano la nostra contemporaneità, come i protagonisti di “Minuscola” che muoiono ogni giorno, come tutti coloro che lasciano i propri paesi di origine, che muoiono in mare, che restano al di là di un muro insieme alle speranze di un futuro degno di questo nome.
“Megalopoli“, in collaborazione con Alborosie, è il nome della città di Francis Ford Coppola, ma è anche il brano in cui Murubutu denuncia le contraddizioni delle città che guidano la fiumana del progresso. Da lontano gli agglomerati urbani sono gli artefici di un avanzamento sociale, economico e sociale senza precedenti, ma se passate sotto la lente di ingrandimento rivelano le loro contraddizioni: per ogni attico su un grattacielo, c’è un bambino che muore di fame; per ogni villetta borghese, c’è una baracca in cui a stento arriva la corrente elettrica.
Il degrado delle megalopoli è insito nel titolo di “Deserto a New York“, in cui il rapper si sofferma a raccontare di una piaga che è stata dilagante nella Grande Mela agli inizi degli anni 2000, ma che non smette di raccontare una fetta del nostro presente: la dipendenza da eroina. La Grande Mela di Murubutu è lontana dall’Empire State Building e da Time Square, ma si contorce nelle case diroccate di Harlem, nei vicoli del Bronx, nella polvere del Queens, teatri di un’umanità ferina, prosciugata dalla droga che mangia l’anima.
Nel disco fa da specchio a NY, la Palermo di “Vicoli“, prodotta da Gian Flores in collaborazione con Davide Shorty. Il capoluogo siculo è bruciato da un Sol Leone che non illumina, ma incenerisce. Sotto una calura abbacinante si srotola la storia di Dario, prima un bambino costretto a lottare con la fame, poi un adolescente costretto a spacciare per racimolare due soldi: Dario è l’epitome di tutti i giovani del sud Italia, vittima di una questione meridionale, accantonata dai politici come risolta, ma urgentissima ancora oggi.
Palermo e New York, città gemelle, Megalopoli che ospitano il popolo dei sommersi, di coloro che anelano nelle sacche di povertà che sintomaticamente il benessere produce. Murubutu le ha raccontate con la perizia tecnica di uno scienziato.
Le città di carta e mattoni
Alessio Mariani insegna, maneggia la cultura quotidianamente e la inserisce ormai da decenni nei suoi lavori. In “La vita segreta delle città“, c’è una città di mattoni antichi e una città di carta. La prima è Costantinopoli, la città dorata, la capitale dell’Impero Romano d’Oriente, caduta per mano degli Ottomani nel 1453, annus horribilis, la fine di un’era: il collasso di tutto un mondo si consuma tra il duello tra Costantino e Mehmed e viene raccontato dalla cronaca di Murubutu in “La caduta di Costantinopoli“.
Il brano, che si dipana su beat orientaleggiante, fonde la prospettiva dello storico nelle rime dell’Mc, in una narrazione vivida e reale: è un’invasione, un’appropriazione cultura, un genocidio. Sono sicuro che molti di voi riusciranno a trovarvi dei collegamenti con lo scacchiere geopolitico odierno.
La città di carta, invece, non ha nome. “451“, in collaborazione con uno straordinario Danno, è il riadattamento di Fahrenheit 451, il celeberrimo romanzo di Ray Bradbury. La traccia, con una produzione futuristica, distorta e industriale di James Logan, traccia gli orizzonti di un futuro distopico in cui un regime totalitario e dittatoriale, per prevenire le insurrezioni, ha bandito la lettura e il possesso di libri, che vengono sistematicamente bruciati da un corpo di pompieri addestrati per il compito.

Morte dello spirito critico, annichilimento del dissenso e della disobbedienza civile, omologazione della popolazione, tenuta sotto scacco come un bue al giogo: rappare oggi il romanzo di Bradbury è una dichiarazione politica senza mezzi termini che non può essere ridotta a un mero esercizio letterario.
Murubutu denuncia un regime politico corrotto e tirannico; vorrei dire “decisamente distante” da quelli del nostro presente, ma mi sento obbligato a rimuovere quell’avverbio di modo.
La città del cuore
Devo fermarmi, ma prima di farlo devo fare una menzione speciale. “La vita segreta delle città” porta con sé anche brani in cui la città è artefice di emozioni: tracce che non raccontano storie, ma che sviscerano sentimenti. Mi riferisco alla title track o a “Grande città“: in questi brani Murubutu si lascia andare a una sensibilità lirica più delicata, in cui emergono sentimenti teneri, dolorosi, umani. Vi invito ad ascoltarle.
Il lavoro si chiude con “Ultima città“, in collaborazione con l’angelica Elisa Aramonte, un brano a cui per ragioni personali sono legato. La traccia racconta di due amanti, divisi dalla distanza, residenti in due città agli antipodi, costretti a sognare per volare l’uno dall’altra. Le città sono anche queste: capi di traiettorie oniriche su cui scorre un amore potentissimo che quotidianamente trova la forza di riconfermarsi e accrescersi. La canzone è una poesia bellissima, tra le migliori dell’intero progetto.
Arriviamo alle conclusioni de “La vita segreta della città”
Murubutu è la pecora nera della scena rap italiana, anzi, possiamo dire, a cuore abbastanza leggero, che lui in questa scena non si è mai realmente inserito e forse per questo nei suoi progetti transitano moltissimi ascoltatori alieni all’HipHop. Eppure, il professor Mariani è un uomo che conosce il rap, che fa tanto, tanto rap, anche con una tecnica eccelsa. I brani, oltre a essere liricamente curati in ogni singola parola, sono giochi di incastri, di citazioni, di flow, di rime su cui tornare, da riscoprire a ogni riproduzione.
Il rap non è solo un mezzo comunicativo nei brani di Murubutu, non è un semplice strumento; al contrario, è proprio lo scheletro su cui l’artista dispone le sue idee, è la mentalità che guida la scrittura dei brani di Murubutu. Quindi sì, stiamo parlando di un rapper che ha divorato musica e ha contribuito a questa cultura per decenni.
Nella fattispecie, “La vita segreta della città” dell’artista reggiano sperimenta in tante direzioni: più volte l’Mc ha dichiarato di aver attinto da generi musicali fuori dalla sua comfort zone per confezionare tante tracce del progetto, lanciandosi anche in melodie più cantate e modulate, come nel ritornello di “La città degli angeli“. Il funk, il blues, il soul, l’elettronica, il jazz, il reggae, l’indie forniscono al progetto una varietà unica, che allontana definitivamente il pericolo di trovarsi sempre di fronte alla solita formula vincente di Murubutu.
Dire che quello di Murubutu è un mero esercizio stilistico è la banalizzazione di un progetto artistico complesso: le mirabolanti città di questo disco sono concrete, sviscerano le pieghe del nostro tempo, lo raccontano in profondità, ne portano a galla le contraddizioni, le storture e le bellezze.
Non sapremo mai se Marco Polo vincerà quella partita di scacchi; se Kublai Kahn si deciderà a muovere quello scacco matto così evidente. Come dargli torto. In fondo i racconti del veneziano sono meravigliosi. Allora faccio uno sforzo di immaginazione e mi immedesimo in quel duo. Da un lato del tavolo ci sono io, dall’altro Murubutu con le sue città. Anche io, lì al posto dell’imperatore cinese, non eseguirei mai la mossa vincente, desideroso di ascoltare l’ennesima storia del narratore che mi siede di fronte. C’è solo un’abissale differenza tra il professor Mariani e il cialtrone veneziano: a differenza di quelle di Marco Polo, le città di Murubutu sono quel che di più visibile c’è su questa Terra.
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