La recensione di Taxi Driver di Rkomi
La scena rap è sempre stata stretta a Rkomi, un campo in cui le sue qualità e il suo istinto musicale non sempre sono stati premiati nel modo giusto. Un istinto che rende il suo approccio unico e che racchiude il tutto (testo, liriche e melodie) come parte di un viaggio che diventa comprensibile solo se si entra nello stesso e se si va oltre lo stile di scrittura opaca dell’artista milanese, spesso astratta alle orecchie dell’ascoltatore, e quindi poco compatibile con il rap, un genere alimentato da rime d’impatto che devono essere comprese dai più, al netto di lacune culturali di pochi.
La prima cosa che ho percepito ascoltando il Taxi Driver, tanto quanto altre, è che per Mirko la musica non è più una questione di reputazione, in cui ci si mette in relazione ad altri, ma è diventata una questione personale, un proprio chiodo fisso, con l’obiettivo di costruirsi una comfort zone per poi smontarla immediatamente dopo, alla ricerca di una perfezione che non sia oggettiva ma che collimi esattamente con la sua concezione artistica. Ed è proprio per questo che ho smesso di lasciarmi trascinare dalla nostalgia per questo disco, cercando di non ragionare a compartimenti stagni, perché ho compreso il suo nuovo approccio gli si addice di più.
Sarebbe riduttivo parlare di Taxi Driver come un disco monotematico, ma è oggettivo il fatto che l’amore sia uno dei sentimenti più sviscerati all’interno dell’intero progetto. Rkomi ha parlato d’amore passando dal sacro al profano con estrema finezza, canalizzandolo attraverso vari generi, i quali rappresentano un valore aggiunto per il risultato finale ma che sono solo subordinati all’approccio personale di Mirko, un approccio che per forza di cose si porta dagli inizi della sua carriera, una peculiarità che lo ha reso noto e diverso dai suoi colleghi.
L’amore viene trattato non soltanto in chiave malinconica, infatti il disco è molto colorato e assume forme diverse a seconda delle sfaccettature che l’ascoltatore sente di cogliere e di fare sue. Sono due, però, i colori cardine che ci accompagnano lungo tutto il disco: il giallo e il nero, i colori del taxi, il colore del giorno e della notte, un colore festante contrapposto al colore cupo per eccellenza, tinte che si alternano per tutto il progetto ma che spesso convivono all’interno di diversi brani, rendendoli papabili protagonisti di tutta l’estate ma allo stesso tempo potenziali compagni di un tramonto autunnale vista mare.
Se l’amore è il tema cardine, lo sfondo coadiuvante che rende il concept così particolare sono le continue citazioni e l’intera struttura che si rifanno a Taxi Driver, film cult di Martin Scorsese del 1976. La similitudine più evidente, riconoscibile a occhio nudo e rinforzata dalle interviste rilasciate da Rkomi, è il parallelismo osservabile nella tracklist tra le tracce che sono tutte quante in compagnia di un altro artista all’infuori della prima e dell’ultima, rifacimento alla giornata tipica del tassista che inizia il proprio lavoro in solitudine, passa la giornata ad accompagnare i clienti e a sentire le loro storie, per poi concluderla come era iniziata, in solitudine, alla fine della giornata.
Addentrandoci nel concreto dei brani troviamo diverse citazioni al film, alcune più esplicite di altre. Ad esempio, in “Nuovo Range” con Sfera Ebbasta (nella quale c’è un’apprezzabilissima citazione a “Non succederà più” di Claudia Mori e Celentano) il rapporto narrato con la donna del brano è molto similare al rapporto che “il passeggero” aveva nel film con la propria moglie. Altrimenti, tenendo per sottintese le varie citazioni esplicite a Travis Bickle, il protagonista, possiamo notare un’altra citazione nella title track, nella quale Rkomi scrive “Ma quello specchio ce l’ha con me”, legata con ogni probabilità ad una scena famosa del film nella quale De Niro fa un monologo allo specchio e finisce col puntarsi la pistola.
Rkomi in quest’album riesce a rimanere il protagonista nonostante lasci la vetrina principale a tutti gli ospiti presenti, Da Gaia a Chiello, passando per il giovane Tommy Dali, cercando di cambiare in base al compagno di viaggio, così come nel film De Niro cambia in base alla donna con cui si trova. Il film è incentrato molto sulla figura femminile, sulla sensibilità dell’uomo nei confronti delle donne. Così come nel film, anche la vita di Mirko è resa vivace dal suo rapporto con le donne, un rapporto libero e subordinato ad una vita in continua evoluzione ma che rimane cardinale, forse più di tutto il resto. Un rapporto che ha scelto di enfatizzare anche in questo disco, rendendo le donne ancor più protagoniste personificando cose astratte come la coscienza, interpretata da Roshelle in “Paradiso vs Inferno”, e l’arma, personificata da Ariete in “Diecimilavoci”.
Se Fastlife di Guè pequeno era riassumibile metaforicamente come cinema di strada, Taxi Driver di Rkomi è la pellicola della sua vita, il punto d’arrivo e allo stesso tempo il punto d’inizio della sua nuova carriera, riflesso di un’evoluzione che ha coinvolto in lungo e in largo Mirko come persona prima che Rkomi come artista. La maturità acquisita negli anni sfocia in un’apparente leggerezza musicale contrapposta ad una profondità d’animo e di coscienza, capace di fargli accantonare il fascino della Zona 4 di Milano, scenario e contesto narrato da Rkomi, per lasciar spazio alla curiosità e alle infinite possibilità di scelte che la vita gli ha offerto.
Anni fa l’artista di Calvairate scriveva “aspetto Milano si affacci al mio passaggio, intanto parliamone”. Il percorso tormentato di Rkomi ci ha dato ampi spunti di riflessione e diversi temi di cui parlare: “Io in Terra” è stata la massima espressione di questo tormento, nel quale Rkomi si è dilettato nel rappare per la maggior parte del disco ma lasciando intuire la predilezione nella sperimentazione; “Dove gli occhi non arrivano” rappresenta lo spartiacque che consente a Rkomi di iniziare una nuova carriera, prendendo le distanze dal Rap ma non lasciando bene intendere dove volesse andare a parare; “Taxi Driver” è l’evoluzione finale di questo processo, un progetto maturo, chiaro e privo di incomprensioni, un progetto che ci fornisce la massima espressione della sua figura artistica che, volenti o nolenti, dobbiamo saper accettare, anche perché Mirko sembra non essere mai stato così sicuro dei propri mezzi, proprio adesso che Milano si affaccia in massa al suo passaggio.
Di Simone Locusta
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